“Profezia” e “università cattolica” sono espressioni che sembra strano accostare l’una all’altra, ma, secondo mons. Mario Delpini, è un rapporto essenziale di fronte alle sfide antropologiche contemporanee. Esattamente come affermato nei confronti della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, l’arcivescovo di Milano si aspetta dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, di cui l’8 novembre inaugura l’anno accademico, un ruolo attivo nella Chiesa italiana e a supporto del suo ministero. “E’ certo che la Cattolica rappresenta una straordinaria possibilità di offrire strumenti per interpretare la realtà (…). La Chiesa italiana dovrebbe attingere dall’istituzione accademica cattolica più articolata e organica preziosi contributi per evitare letture superficiali, impostazioni improvvisate, luoghi comuni, chiacchiere inconcludenti”.
La profezia sta proprio nel rimanere un ateneo che coniuga il suo Cattolicesimo con un rigore scientifico adeguato alle materie insegnate, cosa che per il mondo moderno è una contraddizione in termini. “In ogni ambito di ricerca e di insegnamento il confronto con la tradizione del pensiero cristiano e con il magistero della Chiesa si riveli fecondo di bene. Auguro all’Università di essere Cattolica perché offre un ambiente in cui si mette al centro il rispetto per la persona”.
Il vero nodo della contemporaneità è proprio il valore da dare alla persona umana. Come mons. Delpini afferma nell’omelia nella basilica di S. Ambrogio, oggi paiono dormire “vergini sagge” come quelle del rispetto e del pensiero razionale, ma le “vergini stolte” della curiosità morbosa, della burocrazia elefantiaca e della ricerca spasmodica di potenza tecnologica non godono di maggiore fama, poiché la Modernità ha ridotto il fascino pure di costoro. Il risultato è che ora tutti ripetono la domanda di Genesi 3,9, che è al centro della lectio magistralis del card. Gianfranco Ravasi: “Adamo, dove sei?”.
Viviamo tempi in cui, ripete mons. Delpini dall’ambone, “si soffre il tempo come un logorio, siamo stanchi di un impegno di cui non si vede con chiarezza il risultato, siamo affaticati dalla constatazione di essere consegnati a un servire, a un aspettare di cui non si vede la conclusione e non c’è la gratificazione di un premio a portata di mano”, in una gara esasperata che non è per il meglio, ma spesso verso il peggio perché, inseguendo una libertà assoluta e suicida, non si accetta la base della nostra vera sovranità sul creato: siamo figli di Dio. Solo riconoscendo la nostra creaturalità comprenderemo la mostruosità di una tecno-scienza che mira a ridisegnare il corpo umano e la sua stessa sessualità. E’ anche per questo che Milano ospita, dal 10 al 12 novembre, il congresso nazionale del Movimento per la Vita, durante il quale interviene pure l’arcivescovo, che il giorno di S. Martino (11 novembre) celebra la Messa per i delegati.
Il riscatto civile e morale comincia nella “prontezza che ascolta la parola che oggi Dio mi rivolge con la voce dello studente che cerca risposte, con la voce dei compagni di studio che chiedono collaborazione, con la voce degli eventi e delle sfide che irrompono dal presente inquieto e drammatico”. Serve anche ritagliarsi spazi consistenti per la preghiera, dacché “è l’arte di dimorare nello stupore, di lasciarsi istruire da Dio, di ascoltare le confidenze di Gesù e prendere come lampada nella notte la sua parola”. Così diventeremo ottimi contemplativi in azione.