Con una votazione che passerà alla storia per l’ iniquità, giovedì 14 dicembre il governo Gentiloni ha definitivamente approvato la legge sul cosiddetto “testamento biologico”, che, oltre a consentire di fatto l’eutanasia sotto varie forme, coarta gravemente la coscienza del medico e la libertà delle strutture sanitarie contrarie per principio a pratiche anti-vita. Vale allora la pena riascoltare le parole spese da mons. Mario Delpini nell’omelia della Messa d’Avvento con gli operatori sanitari del territorio ambrosiano (3 dicembre), pronunciate quando la calendarizzazione del provvedimento in Senato era già fortemente sponsorizzata dal fronte laicista, ma sembrava ancora incerta nella tempistica. Costituiscono una lucida condanna della “cultura di morte” e della sua logica edonista.
“E se chi programma il futuro mettesse in agenda non la costruzione della cittadella dei privilegiati, non il paese dei balocchi per i bambini belli, sani, intelligenti e viziati, non i filtri raffinati per impedire di vedere i malati, i poveri, i morti, ma mettesse in agenda la costruzione di luoghi di incontro, di accademie di confronto per avventurarsi in nuove conoscenze, strutture di condivisione per tessere rapporti e sviluppare il prendersi cura gli uni degli altri?” L’eutanasia scoraggia la ricerca scientifica perché il suo finto pietismo spinge ad uccidere in un numero crescente di casi e in tempi sempre più ravvicinati, rendendo la morte l’unica vera terapia, che riduce la motivazione a cercare altre soluzioni, finanziariamente molto più onerose.
“Quando considero la dedizione, la competenza, l’investimento di risorse e di passione di molti dedicati ai malati, di molti che operano nelle istituzioni sanitarie mi sembra di intravedere quello stabilirsi del trono sulla mansuetudine che annuncia il Regno di Dio”. La mansuetudine di cui si parla è il lavoro di cura, da non confondersi minimamente con la remissività nel difendere i propri valori. Tutto il discorso di mons. Delpini ha come obbiettivo dimostrare che la cultura oggi dominante è imperniata sull’abbandono terapeutico in nome dell’autodeterminazione del malato e come essa si debba assolutamente sovvertire per venire davvero incontro al bene del degente. “Se il trono è stabilito sulla mansuetudine, allora chi è malato, chi è anziano, chi ha bisogno di cure e di aiuto, non sarà considerato una spesa che grava sul bilancio dello stato, ma una mano da stringere, un dolore da alleviare, una sfida che la scienza deve raccogliere” per far vivere.
Pio XI (1922-39) disse che di fronte ai totalitarismi i cristiani dovevano essere duri come l’incudine colpita dal martello. Mons. Depini invita, analogamente, a non perdere la speranza sotto i colpi di chi non sopporta la stessa esistenza dell’antropologia cristiana. “Se il Signore è mite, le potenze mondane (…) rideranno di lui, lo ignoreranno, costruiranno la loro torre per sfidare il cielo e bestemmiare Dio”, ignare che la costanza del bene è più solida dell’ansia di imporre rapidamente il male.Come annuncia Isaia “il tiranno sarà estinto, il distruttore scomparirà dalla regione. Noi continuiamo a celebrare il Signore che viene con opere di bene, noi continuiamo a credere che un popolo che mette al centro il bisogno dell’altro e vive in modo da piacere a Dio ha la forza, ha la pazienza, ha la fierezza di resistere al male e di annunciare che è vicino il Regno di Dio”.