Il 23-24 giugno il consiglio pastorale diocesano è convocato a Villa Sacro Cuore di Triuggio per confrontarsi con l’instrumentum laboris del Sinodo minore “Chiesa dalle genti”, stesa grazie ala rilevazioni raccolte dal territorio ambrosiano.
Nell’instrumentum laboris, che viene sottoposta sia ai consigli laici che ecclesiastici, si ricorda immediatamente lo scopo dell’assemblea è “ridare fiato e rilievo alla missione di raccolta dalle genti che è propria del Cristianesimo”. Non tutte le zone pastorali hanno risposto ai quesiti dell’arcivescovo, mons. Mario Delpini, con la medesima sollecitudine, tuttavia “i contributi giunti alla commissione entro la fine del mese di aprile sono più di seicento, e altri ancora stavano arrivando mentre la commissione era impegnata nella stesura di questo testo” e sono risultate particolarmente significative le relazioni inviate dall’ambito scolastico, che è forse quello più di frontiera sul fronte dell’integrazione dei “nuovi milanesi”. Ad ogni modo emerge il desiderio di essere pienamente “popolo radunato dallo Spirito perché attratto dalla croce di Gesù Cristo, persone che imparano a vivere come pellegrini in terra, in cerca della dimora stabile, il Regno di Dio”.
Essere popolo cattolico nell’epoca degli Alfie, del silenzio sui danni della droga, della promozione esasperata dell’omosessualità e del ritorno a slogan politici brutali e semplificatori non è facile, come afferma mons. Luca Bressan in un comunicato nel quale unisce le perplessità sulla vicenda della nave Aquarius a quelle (molto più condivise) sull’iscrizione all’anagrafe di bambini di coppie gay da parte del sindaco di Milano. “Nell’anno della canonizzazione di Paolo VI, il quale diceva che la politica è la più alta forma di carità, c’è proprio bisogno di ritornare a ripensarla e a capire che non ci si impegna per capitalizzare qualcosa per me o per il mio gruppo, ma ci si spende – una “forma di martirio” dice papa Francesco – per mettere al primo posto il futuro di tutti”.
Proprio Paolo VI da arcivescovo di Milano fu un grande assertore dei sinodi minori. Il card. Giovanni Battista Montini percepì subito di non avere né la possibilità, né le energie di convocare un grande sinodo diocesano sul modello di S. Carlo Borromeo. Si accorse progressivamente che il sinodo minore, convocato su un solo argomento, era uno strumento molto più utile e malleabile, in una situazione in rapido mutamento sociale e pastorale, della “via maior” consegnata dalla tradizione ecclesiale lombarda. Dal punto di vista legislativo si limitò a pubblicare delle addende all’ultimo Sinodo maggiore (il 45° della serie) celebrato dal predecessore, il beato card. Alfredo Ildefonso Schuster. Le “addende montiniane” ribadiscono la condanna del marxismo, ma cominciano ad intravedere pure i bagliori della società post-ideologica nella già evidente crisi della famiglia.