di Michele Brambilla
Mons. Mario Delpini attende la seconda metà di luglio per pubblicare la lettera pastorale che guiderà il cammino dell’arcidiocesi di Milano nell’anno 2018/19, Cresce lungo il cammino il suo vigore. E’ una lettera che si focalizza sulla figura del beato Paolo VI (1897-78), il quale verrà canonizzato il 14 ottobre, e di essa sottolinea l’inesauribile spirito missionario e la capacità di adattamento.
In particolare, mons. Delpini invita a rileggere gli scritti del periodo che il futuro Santo trascorse a Milano come arcivescovo ambrosiano (1955-63). “Mentre ci prepariamo alla canonizzazione del beato papa Paolo VI chiedo la sua intercessione perché la sua preghiera ci accompagni. Invito a riprendere la sua testimonianza e a rileggere i suoi testi, così intensi e belli, perché il nostro sguardo su questo tempo sia ispirato dalla sua visione di Milano, del mondo moderno e della missione della Chiesa”. Una visione estremamente fiduciosa nelle possibilità dell’anima umana di incontrare Cristo e lasciarsi “inculturare” da Lui.
Perché l’uomo contemporaneo possa incontrare Cristo occorre che la Chiesa pensi e pratichi “un inesausto rinnovamento/riforma della Chiesa stessa”, sulla base del principio secondo il quale “la Chiesa non assolutizza mai forme, assetti, strutture e modalità della sua vita”. Il messaggio non è rivolto semplicemente al mondo cosiddetto “tradizionalista” (presente in diocesi, ma di gran lunga minoritario), bensì a tutti coloro, e sono purtroppo tanti, che sono nostalgici del passato più recente e che si attardano ancora in una pastorale anni ’80-’90. Mons. Delpini ha recentemente rinnovato l’organico della Curia, sulla linea delle scelte del predecessore, tuttavia il territorio è pieno di sacche più o meno grandi di “resistenza”, luoghi in cui si coltiva ancora l’autoreferenzialità e si crede che la “migliore ricetta” sia ridurre i contenuti al minimo ed enfatizzare lo “spettacolo”. “Non ha fondamento storico né giustificazione ragionevole l’espressione “si è sempre fatto così””.
Il segreto per non cadere in questi pericoli è ricordare una celebre espressione popolare: “sem chi pruvisori” (siamo qui provvisoriamente). “Viviamo vigilando nell’attesa. Viviamo pellegrini nel deserto. Non siamo i padroni orgogliosi di una proprietà definitiva che qualche volta, eventualmente, accondiscende all’ospitalità; siamo piuttosto un popolo in cammino nella precarietà nomade”, perché, per quanto si parli di “amicizia civica”, la vera patria del cristiano è nei Cieli.
Non è però solo una questione di contrapposizione tra Terra e Paradiso: talvolta la patria da cui dobbiamo staccarci è un mondo che ci siamo costruiti a misura del nostro egocentrismo. “Non si può immaginare (…) che il popolo in cammino viva di nostalgia e si ammali di risentimento e di rivendicazioni, perché proprio per questo si è deciso il pellegrinaggio, per uscire da una terra straniera e da una condizione di schiavitù”. Riaffiora così sulle labbra dell’arcivescovo il riferimento alla “società del rancore” denunciata dai sociologi in questi mesi. Per superare la tensione a rinchiudersi in se stessi mons. Delpini rilancia la modalità antica dei pellegrinaggi “di massa”, in cui si avverte distintamente, come nei secoli della Cristianità, che la Chiesa è una sola grande famiglia.