Il 5 agosto 2017 si spegneva nel suo appartamento nella Villa Sacro Cuore a Triuggio il card. Dionigi Tettamanzi (1934-2017), teologo morale, arcivescovo di Milano dal 2002 al 2011. Mons. Mario Delpini, che allora concelebrò i funerali in qualità di arcivescovo eletto, dispone due grandi celebrazioni. Una ha luogo a Triuggio nel pomeriggio del giorno in cui cade l’anniversario esatto della morte, la seconda nel Duomo di Milano domenica 12 agosto. Nonostante l’abituale esodo estivo, sono moltissimi coloro che non vogliono mancare alla commemorazione di un arcivescovo ai tempi molto popolare.
Il discepolo, ricorda mons. Delpini sulla scorta delle Scritture, non gode però abitualmente di molta popolarità. “La parola che invia i discepoli, però, non è una promessa di successo, non è una garanzia di popolarità. La parola di Gesù, come l’esperienza di Geremia, l’esperienza di Paolo, l’esperienza di tutti coloro che hanno percorso la terra per annunciare il Regno di Dio consiglia di mettere nel conto il fallimento. Si devono prevedere porte che non si aprono, anche se l’intenzione è quella di portare la pace. Si devono prevedere persone e paesi, ideologie e sistemi di potere che reagiscono con indifferenza, come infastiditi da una parola di cui non sentono il bisogno. Si devono prevedere anche reazioni ostili, persecuzioni accanite per respingere una parola che mette in discussione le abitudini consolidate”.
Di fronte alla resistenza, ci può essere la tentazione del compromesso al ribasso. “Nessuno trova gradevole abitare nell’impopolarità, attraversare il paese e sentirsi guardato con sospetto, con antipatia. Perciò è costante la tentazione di accondiscendere al compromesso: il messaggio evangelico si può diluire in una raccolta di buoni sentimenti che lo rendono innocuo, in una raccolta di parole di saggezza su cui tutti si possono trovare d’accordo”, rischiando così di cadere nel pericolo opposto alla persecuzione, ovvero l’adulazione.
Mons. Delpini pronuncia queste parole nella celebrazione in suffragio del predecessore perché “nel suo ministero episcopale ha incontrato tanta benevolenza, è stato vicino a tanta gente, ha avuto una parola buona che molti ricordano con riconoscenza. Non sono mancate neppure a lui, neppure a Milano esperienze di fallimento, di critica, di indifferenza. In questo contesto il card. Tettamanzi è stato testimone di una benevolenza che non è stata scalfita dalle reazioni negative, di una coerenza che non ha cercato la popolarità più della fedeltà”.
Molti dei presenti hanno subito pensato a riforme controverse come le comunità pastorali, o alle molte parole spese dal card. Tettamanzi nella difesa degli immigrati, oggetto di moltissime critiche, ma altri tutt’ora ricordano che l’arcivescovo defunto fu protagonista anche e soprattutto di un’altra stagione, decisamente ed incontestabilmente più eroica: quella della ricezione dell’enciclica Humanae vitae (1968) del beato Paolo VI, che difese quasi in solitario mentre reggeva la cattedra di teologia morale nel Seminario arcivescovile di Milano. “Nessuno trova gradevole abitare nell’impopolarità, attraversare il paese e sentirsi guardato con sospetto, con antipatia. Perciò è costante la tentazione di accondiscendere al compromesso: il messaggio evangelico si può diluire in una raccolta di buoni sentimenti che lo rendono innocuo, in una raccolta di parole di saggezza su cui tutti si possono trovare d’accordo”. Don Dionigi ha voluto correre il rischio dell’impopolarità e, mons. Delpini ne è certo, ha raggiunto anche così la “festa di Dio”, il Paradiso.