di Michele Brambilla
La prima solennità dell’Assunta che mons. Mario Delpini celebra da arcivescovo ambrosiano in carica nel suo Duomo è inevitabilmente segnata da quanto accaduto il 14 agosto nella vicina Genova, dove il crollo del viadotto dell’A10 (detto “ponte Morandi”) provoca oltre 40 vittime.
Commentando le letture del giorno, connettendole alle immagini di dolore che la televisione riversa sugli ascoltatori da diverse ore, l’arcivescovo di Milano afferma che “l’animo credente sente tutto il dramma della morte e tutta la speranza delle risurrezione: questa mia vita, questo mio corpo sarà rivestito di gloria”. Difficile crederlo la mattina del 15 agosto 2018, tuttavia davanti a Dio “nessuno è insignificante, niente è noioso, nessun gesto quotidiano va a finire nel nulla”, ma passa attraverso il dramma della croce di Cristo per giungere alla gloria della risurrezione.
Tante volte i nostri giorni sono contagiati dalla malattia della banalità. “La banalità è quella forma pigra del pensare, quella forma miope del guardare, quel gonfiarsi patologico dell’emozione che rivolge uno sguardo così superficiale alla vita di ogni giorno che la trova monotona e noiosa, considera le persone di casa come insignificanti, vive la ripetizione delle attività quotidiane come fossero sempre quelle, ripetitive e logoranti, di fronte all’ordine dell’universo commenta: “Beh?”” anziché gridare di (sacro) stupore. L’uomo contemporaneo tende a riappropriarsi della propria dignità solamente di fronte alle grandi catastrofi, che annullano il suo delirio di onnipotenza, mentre, non avendo la pazienza di fermarsi a contemplare il creato, gli sfugge di norma la via pulchritudinis, che si serve pure dei piccoli gesti quotidiani per rispondere alle domande più profonde.
E’ proprio una questione di sguardi. “La malattia della banalità rende irrequieti e induce a cercare sempre qualche cosa d’altro rispetto alle “solite cose”, perché solo quello che è strano è interessante. La malattia convince a vivere nel disordine, cambiando il giorno con la notte, la regolarità con l’improvvisazione, la fedeltà con le esperienze precarie: si cerca soddisfazione nell’eccitazione, piuttosto che nell’affetto, nella stranezza piuttosto che nella professionalità, nell’eccesso piuttosto che nella misura”, ma alcune volte l’insolito diventa tragico e si torna improvvisamente a fare i conti con il fatto che la vita autentica non si può esaurire nelle mille preoccupazioni terrene che vorrebbero assorbirla totalmente.
La novità autentica, ricorda mons. Delpini, è solo Cristo. Essa è irrotta definitivamente nella vita di Elisabetta, che era già incinta del profeta S. Giovanni Battista, quando le venne incontro la giovanissima cugina, Maria di Nazareth, che portava in grembo il Re dell’universo, fattosi piccolo per riscattare i piccoli. “Nel villaggio sconosciuto dove stava la casa di Zaccaria, nello scambio di saluti tra le due cugine, irrompe la gioia sorprendente della visita di Dio. Il Signore dimora nel grembo di una ragazza, la gloria di Dio si è tutta concentrata nel Bambino che Maria porta in grembo, la mano potente di Dio che salva si fa storia ordinaria di bambini in carne e ossa, di donne incinte, di persone insignificanti di cui Dio si prende cura”.
Senza che ce ne accorgiamo la vita di ciascuno di noi è visitata più spesso dalla Grazia che da qualche disgrazia. Con Gesù “la terra è piena della gloria di Dio e solo lo sguardo miope e il pensiero ottuso cercano altrove qualche cosa di cui rallegrarsi, qualche cosa di interessante”. Il Significato è entrato nella storia e ci rende già ora capaci di vita eterna. “Da lì in avanti lo sguardo limpido si stupisce nel riconoscere lo splendore dell’ordinario, la meraviglia del quotidiano”.