La prima ricorrenza liturgica (17 settembre) della beata Lionella Sgorbati (1940-2006), assassinata da integralisti islamici in Somalia, è sottolineata dall’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, con una Messa vespertina a Sesto S. Giovanni, città d’adozione della suora martire (di origini piacentine), la cui figura ispira un discorso più articolato sul valore della missione ad gentes nel mondo di oggi.
Anche i cattolici corrono infatti il rischio di trasformarsi in “gente avveduta che sa calcolare il dare e l’avere, gente prudente che investe le sue risorse con le dovute garanzie, gente astuta che intuisce dove c’è il guadagno più promettente e il rischio minore, gente esperta di bilanci e previsioni, gente ben informata di tendenze e scadenze”, inconsapevole di valori immateriali per i quali vale persino rischiare la vita.
“L’unico criterio” del missionario, ripete mons. Delpini, “è la volontà del Padre: non conta quanta popolarità si guadagni, non conta quante opere buone abbia compiuto, non conta quanti siano coloro che hanno deciso di seguirlo e se siano gente importante o insignificante. Per Gesù conta la gloria del Padre”. Un criterio base riassumibile nel celebre motto latino “ad maiorem Dei gloriam”.
Si comprende allora come la missione del cattolico non sia riducibile al conseguimento di migliori condizioni di vita materiale per i propri assistiti, come spesso si è sostenuto nei decenni passati. “Amare non è in primo luogo produrre buoni risultati, far crescere il benessere dei popoli, assicurare le risorse di cui c’è bisogno, anche se questo è un risultato dell’amore. Amare è stabilire relazioni sulla decisione del dono, nella logica del prendersi cura dell’altro, in una gara per stimarsi a vicenda, in una disponibilità alla confidenza e alla fiducia. Amare non è, in primo luogo, considerare l’altro come destinatario di una beneficenza, è piuttosto considerare l’altro come un fratello, una sorella, una persona chiamata a condividere la vita, la speranza, la gioia di Dio”. I missionari dei secoli passati partivano con questo spirito.
Il fatto che la beata Lionella sia stata uccisa, per di più vittima inconsapevole della furia scatenata contro parole ed eventi molto lontani da Mogadiscio (nel settembre 2006 si era nel pieno delle polemiche islamiche e laiciste contro il discorso di Ratisbona di Benedetto XVI), potrebbe indurre il lettore della sua biografia ad un misto di rabbia e rassegnazione. Mons. Delpini interpella i molti fedeli presenti nella navata della chiesa sestese di S. Giuseppe in modo molto diretto: “è stato uno sperpero di tempo, energie, competenze?”. No di certo. “È stata piuttosto una vita che ha dato gloria a Dio: il molto frutto che ha prodotto questo chicco di grano seminato in terra d’Africa non è anzitutto la quantità delle opere e i risultati dell’intraprendenza e generosità di una suora e di un Istituto. È stato invece quel morire per amore che chiama ad amare, quel morire perdonando che chiama a praticare il perdono, quel morire facendo della propria vita un dono per convincere altri che la vita si salva solo se si dona”.