di Michele Brambilla
Durante la celebrazione che segna la ricollocazione delle reliquie di Ambrogio, Gervaso e Protaso nella cripta della basilica di S. Ambrogio (30 ottobre), l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, puntualizza che i Santi non sono “memorie del passato, ma presenze amiche”. La materialità delle loro reliquie attesta che la fede cristiana “è una fede che si incarna nella storia” e che rifiuta la scissione netta tra anima e corpo. “Nella tradizione cristiana il corpo non è una specie di prigione di cui doversi liberare”, bensì “condizione reale dell’incontro con Dio e di pratica della vita spirituale”, che si dà nella corporeità di una comunità, la Chiesa, unita pur nelle differenze di compiti e vedute.
Un messaggio che risuona ancora più forte in occasione della solennità di Tutti i Santi (1 novembre). La vigilia il Duomo si riempie di oltre 2200 partecipanti alla Notte dei Santi: agli adolescenti l’arcivescovo, che li attende sui gradini del presbiterio della cattedrale, ricorda che Cristo ha come mezzo per parlare agli uomini del nostro tempo soprattutto la nostra testimonianza personale di vite redente. “La felicità non è bere una birra o fare follie per una notte, è una cosa che dura. Quando vi indignate per un’ingiustizia o per la violenza, sappiate che anche questa è una chiamata alla santità”, nel senso che è interpellata la nostra coscienza. E’ inutile prendersela con gli altri o lo Stato, se rimango nei miei peccati, se la mia vita non parla integralmente di Cristo.
Oltre alla lamentela, serpeggia tra molti cattolici anche un disfattismo che porta ad adeguarsi pigramente alle tendenze mondane. Il pontificale di Ognissanti è quindi dedicato a denunciare i “cristiani del conformismo”, quelli che “vivono l’imbarazzo di essere riconosciuti e sentono il disagio di essere oggetto di scherno e di discredito; che tacciono le parole del Signore perché l’insulto spaventa; che si presentano come tolleranti ma che, in realtà, sono timidi e temono di essere riconosciuti e di diventare impopolari”. Pertanto “in questa solennità siamo invitati a guardare la storia con gli occhi di Dio e non con quelli del conformismo. Anche noi, cristiani timidi, imbarazzati, complessati, accomodati nella omologazione, forse possiamo sentire un appello a non nascondere il sigillo del Dio vivente con cui siamo stati segnati e a farne una ragione di fierezza e un impegno di coerenza”.
Il sigillo dello Spirito Santo, che riceviamo nel Battesimo e nella Cresima, appartiene a tutti coloro che si dicono cristiani, al di là delle lingue e della nazionalità. Giunge a maturazione proprio in questi giorni il lavoro del Sinodo diocesano “Chiesa dalle genti”. Il 3 novembre consiglio presbiterale e consiglio pastorale diocesano votano la relazione finale, presentata all’arcivescovo, che riunisce poi di nuovo tutti nel Duomo per la Messa solenne in onore di S. Carlo Borromeo (17.30). Nella bozza approvata in tale occasione si afferma chiaramente: “nella Pentecoste (At 2, 1-47), nel dono dello Spirito, si realizza una comunione nuova tra i popoli diversi: si realizza e si vive il dono dell’unità nella valorizzazione delle differenze, della pluriformità nell’unità (n. 1.1)” in vista della comune missione di comunicare al mondo il messaggio di Cristo.