di Michele Brambilla
L’arcivescovo di Milano viene invitato l’8 febbraio a tenere la lectio magistralis alla consegna del “Panettone d’oro”, benemerenza civica che viene consegnata dal comune di Milano nei saloni della Triennale a ridosso della festa di S. Biagio (3 febbraio), in cui è tradizione consumare l’ultimo panettone della stagione natalizia.
Mons. Delpini non condivide una narrativa sempre più cupa della realtà contemporanea. Partendo dai tanti semi di bene che continuano a germogliare nella nostra comunità, invita sia i credenti che il mondo laico ad avere maggiore fiducia nell’uomo. “Vengo a confidare lo sguardo stupito per l’immenso bene che si fa, per la generosità infaticabile, per la prontezza nel servire che soccorre al bisogno. Vengo a ringraziare perché il buon vicinato rende abitabile la città, dà un senso di sicurezza e le persone fragili, le persone sole sanno che c’è qualcuno su sui possono contare”. Sono cose che, se le si vuole osservare con maggiore attenzione, accadono già.
Puntualizza, poi, che “non si tratta (…) di fare un po’ di bene, mentre parallelamente si vive arrivismo, spregiudicatezza, avidità (“perché gli affari sono affari”), si tratta piuttosto di uno stile di vita”, di un modo di vivere al quale bisogna essere educati, ma senza aspettarsi un risultato in automatico. “Contro il luogo comune che legge la vicenda umana come una fatale successione di cause-effetti e che immagina quindi il comportamento umano come esito di un determinismo al quale non si può resistere, la visione più realistica e più fiduciosa della vita professa la libertà”. Dio vuole interlocutori liberi, che lo cercano liberamente con tutto il cuore e applicano la Sua legge non perché hanno paura della punizione, ma come figli che scoprono dietro la regola l’amore del Padre.
Contemporaneamente alla lectio magistralis in Triennale l’arcivescovo diffonde una sua lettera agli oltre 1000 delegati che stanno convergendo su Bollate per l’assemblea annuale degli oratori milanesi, che quest’anno è dichiaratamente proiettata al futuro con il titolo “Oratorio 2020”, intendendo non solo una tappa cronologica, ma anche un rinnovamento sostanziale dell’antico strumento pastorale dell’arcidiocesi ambrosiana. Come scrive mons. Delpini, usando una metafora legata all’adolescenza, “è normale che a un certo punto un ragazzo senta le scarpe strette: significa che sta crescendo. Sarà necessario provvedere a cambiare le scarpe perché il giovanotto possa continuare il suo cammino e anzi correre verso la meta”. La stessa cosa accade agli oratori del XXI secolo, che si trovano spesso davanti sfide inedite, le quali non richiedono un semplice restyling degli edifici materiali.
“Ci sono”, infatti “dei momenti in cui si deve mettere mano all’impresa un po’ più impegnativa e complessa di un ripensamento complessivo della proposta educativa dell’oratorio”. Questo sarà il compito dei prossimi anni. E’ un tempo di cambiamenti sia per la Chiesa che per la società, che non bisogna temere, ma affrontare con l’ottimismo che viene solo dal presupporre la perpetua assistenza dello Spirito Santo alla Sua Chiesa. Solo chi non ha fede nel Dio cristiano può essere pessimista.