Mons. Delpini ricorda ai preti giovani, durante il pellegrinaggio in Egitto, che il sacerdote non cerca il potere, la visibilità e l’asservimento dei laici.
Di Michele Brambilla
Mons. Mario Delpini segue di persona, come altre volte, il pellegrinaggio annuale dei preti ambrosiani neo-ordinati (fino al quinto anno di Messa), che nel 2019 si tiene in Egitto dal 25 febbraio al 1 marzo e culmina con un’udienza presso il patriarca copto-ortodosso di Alessandria Tawadros II. L’arcivescovo di Milano si unisce ai pellegrini già lunedì 25, quando presiede nella chiesa di S. Giuseppe al Cairo una Messa che si trasforma, di fatto, in un “sinodino” diocesano milanese celebrato su suolo egiziano, avente come tema il modo di esercitare la potestas ordinis, vale a dire «[…] il potere dei preti, potere che viene loro conferito, potere di consacrare, di assolvere, di predicare, di responsabilità di guidare una comunità o più comunità».
Il sacerdote è essenziale per una comunità cattolica, tuttavia mons. Delpini non nasconde che sussiste «[…] anche qualche rischio di farla un po’ da padrone, di diventare un po’ presuntuosi e di asservire un po’ a sé le persone, almeno quelle che ci stanno, almeno certe iniziative che si rivendicano, il potere acquisito. E c’è anche il potere preteso, quello magari di chi si accorge di non avere autorevolezza, però si innervosisce e dice “ma qui il prete sono io, tocca a me”, quindi una rivendicazione di un’autorità che magari la debolezza del pensiero o del carattere non riesce ad acquisire ma che uno vuole, pretende». Tutte tendenze negative che non ci mettono molto ad inquinare in profondità i rapporti tra i parrocchiani.
«Allora», sentenzia l’arcivescovo, «io vorrei proporvi cinque precetti per un buon esercizio del potere. Il primo precetto è che non tutto il ministero è potere» e rimprovera quei “parroci emeriti” che non riescono a staccarsi dall’esercizio della potestà diretta di governo e si sentono messi da parte solo perché non hanno più incarichi particolari. Se si pensa di essere “finiti” solo perché non si comanda a bacchetta il comitato della festa patronale non si è compreso per nulla quali sono gli elementi essenziali del ministero sacerdotale.
«Secondo spunto che voglio condividere», è «[…] considerarsi sempre in cerca della sapienza», quella che viene dall’Altissimo. Lo studio della dottrina è necessario per una pastorale davvero fruttuosa. Il terzo precetto è ricordarsi di essere stati ordinati ad immagine di Cristo servo, il che conduce direttamente al quarto, la «[…] libertà interiore dall’amor proprio, dalla vanità, dal bisogno di ricevere applausi, dall’esibizionismo della propria idea originale» per lasciar parlare, invece, Qualcun’altro.
Il quinto, il più difficile forse, è ammettere che gli errori si pagano. «Dunque è necessario rendersi conto che l’esercizio scorretto delle proprie responsabilità è un danno per la comunità e finisce per coprirci di ridicolo» perché si vedono sacerdoti di Cristo imitare (male) il mondo. L’antidoto è sempre «[…] praticare lo stesso stile di Gesù, che bisogna percorrere un itinerario di liberazione interiore e che bisogna essere attenti a non coprirsi di ridicolo per la presunzione con cui noi pretendiamo che gli altri ci servano o servano ai nostri progetti». Il laicato non è un mero orpello dell’apostolato gerarchico, ma un indispensabile collaboratore che gode di una legittima autonomia.
Lunedì, 04 marzo 2019