L’arcivescovo di Karachi interviene ad un convegno di Aiuto alla Chiesa che Soffre descrivendo in maniera molto vivida la condizione della Chiesa cattolica in Pakistan, dove si sta cercando di scalfire il predominio culturale e politico dell’estremismo islamico.
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di Michele Brambilla
Nel pomeriggio del 4 aprile l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, accoglie nella sala negri da Oleggio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore il suo omologo di Karachi, il card. Joseph Coutts, che viene da una terra, il Pakistan, notoriamente molto ostile ai cristiani, su invito della Fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS). Nell’introdurre l’illustre ospite, il rettore dell’ateneo Franco Anelli ricorda che «San Giovanni Paolo II ha detto, giustamente, che la Chiesa è ritornata a essere una Chiesa dei martiri; Papa Francesco dice di essere convinto che vi siamo più martiri cristiani nell’attualità che nei primi secoli: lo confermano i numeri. Queste sono cose da insegnare e tutto ciò ha a che fare con l’ispirazione formativa dell’Università Cattolica».
Mons. Delpini è pienamente d’accordo con Anelli: «la Chiesa di Milano è qui per dire che quando una delle membra soffre, tutto il corpo soffre. La mia presenza è una forma di condivisione del soffrire, non solo un desiderio di sapere, ma è l’esperienza della sofferenza condivisa» da parte di chi non prova la persecuzione usque ad effusionem sanguinis, ma si sente parte dell’unica Chiesa. Elogia ACS criticando i giornalisti italiani, sostenendo che «spesso la notizia è scelta esattamente per suscitare un’emozione, mentre “Aiuto alla Chiesa che soffre” ha lo scrupolo della documentazione e fa nascere una compassione, non attraverso notizie che portano a un’emozione, ma mettendo sul tavolo conoscenza, confronto e ricerca di una base di intesa».
La parola passa al porporato pakistano, il quale esordisce portando un po’ di numeri: «nella Repubblica islamica del Pakistan – così si chiama ufficialmente – , ci sono 3 milioni tra cattolici e protestanti su più di 200 milioni di abitanti. Siamo minoranza, ma non nascosta o silenziosa», tantomeno rassegnata allo strapotere degli integralisti musulmani e dell’applicazione più feroce della sharia. «Dal 1947 il Pakistan è stato indipendente e il Padre fondatore era un musulmano illuminato e moderato: non voleva, certo, uno Stato islamico», tuttavia «la nostra società non è ancora pronta a gestire il fattore religioso, basti pensare ad Asia Bibi, coraggiosamente assolta da questa accusa, mentre migliaia di persone hanno manifestato contro la sua liberazione» con il cappio in mano.
«Spesso la legge copre motivi di attacco personale e di interesse e quando l’accusato è cristiano, la rabbia si riversa contro l’intera comunità». Non si tratta solo della famigerata legge sulla blasfemia. l’intero sistema giudiziario si è dimostrato spesso molto ostile ai diritti delle minoranze religiose, tuttavia proprio di recente, con la sentenza di assoluzione nel caso Asia Bibi, si è intravista una possibilità di lenta evoluzione positiva della situazione politico-sociale. Ad ogni modo la presenza cattolica in Pakistan continua ad essere rilevante e, talvolta, pure molto apprezzata. «Abbiamo a Karachi 56 scuole cattoliche frequentate volentieri anche dai musulmani, perché insegniamo la fratellanza e ciò che ci accomuna, essere tutti uomini e donne».