Mentre Milano si riempie di iniziative lodevoli e di alpini, l’arcivescovo ricorda che solo la preghiera può dare vita ad un momento felice o, persino, ad un’Europa unita migliore.
Di Michele Brambilla
Milano vede nel giro di pochi giorni alternarsi la presentazione di Oralimpics 2019 (6 maggio), le “olimpiadi degli oratori estivi” che si terranno negli ex-padiglioni dell’EXPO 2015, una marcia ecumenica per l’Europa unita (9 maggio) e l’attesissima adunata degli Alpini (10-12 maggio), comprensiva di una Messa in Duomo.
Il messaggio fondamentale di queste “adunate” primaverili mons. Mario Delpini lo individua nel desiderio di abitare la piazza, nel senso di spazio pubblico, infondendole un’anima, come dice ai ragazzi di Oralimpics. «Vorrei farmi portavoce della Madonna che ci guarda dall’alto del Duomo: oggi è come se dicesse giocate, non chiudetevi in casa, perché solo giocando insieme con gli altri si cresce, ma ricordatevi anche che lo sport non è tutto, nessuno di voi è solo un giocatore, bisogna che vi impegniate nello studio e che coltiviate la vostra anima» per essere uomini a tutto tondo, coscienti non solamente della propria bravura, ma di una vocazione missionaria. Maria, Regina dell’umiltà, previene dai moti disordinati dell’orgoglio umano.
«Spesso», riconosce mons. Delpini durante la marcia ecumenica, che vede la partecipazione delle altre Chiese presenti a Milano e si snoda tra le basiliche di S. Eustorgio e di S. Lorenzo, «rileggendo la storia, noi cristiani restiamo umiliati e confusi. Avremmo dovuto essere l’anima del mondo; invece, ci siamo, come tutti, lasciati sedurre dall’avidità delle ricchezze e dalla bramosia del potere», fino a divenire essi stessi un fattore di disunione. «Avremmo dovuto essere un principio di unità tra i popoli e, talvolta, siamo stati un elemento di divisione tra cristiani, credenti nell’unico Signore. Avremmo dovuto essere il popolo della pace e, invece, in alcuni momenti – in troppo lunghi momenti -, ci siamo fatti la guerra. Avremmo dovuto essere gente solidale, attenti ai poveri, disponibili all’accoglienza e, invece, troppe volte, siamo stati popoli conquistatori, che hanno saccheggiato il pianeta e hanno umiliato i popoli». Noi cattolici contemporanei «[…] non possiamo dire che non c’entriamo in questa storia», ma la scelta di escludere il riferimento a Cristo «[…] ha creato drammi peggiori e guerre più tremende».
Il sentimento che si ricava non è, allora, di scoraggiamento: «noi ricostruiremo l’Europa non perché saremo più bravi dei nostri padri, non perché saremo più “spirituali” o più liberi, ma perché ci affideremo alla preghiera di Gesù», quella da Lui pronunciata nel Cenacolo: «[…] che siano tutti una cosa sola» (Gv 17,21). «Noi Chiese cristiane camminiamo verso un’altra Europa perché lasciamo che Gesù preghi per noi» il Padre e ci risediamo, come continente europeo, a questa scuola di preghiera. Il fondamento dell’Europa unita non sarà più un precario, laicissimo imperativo categorico, ma il fuoco ardente della comunione che solo Cristo può realizzare tra gli uomini, come riconosce anche padre Traian Valdman, responsabile della comunità ortodossa rumena di Milano: «Dio riconcilia questo mondo attraverso il perdono e l’amore. È questo il miracolo operato a favore di tutta l’umanità».
Lunedì, 13 maggio 2019