Assistendo ad una Messa in Rito maronita presso la cappellania dei libanesi a Milano (S. Pietro Celestino), mons. Delpini definisce Charbel Makhluf, di cui ricorre la festività, «uomo fatto luce», che è quanto deve diventare ogni cattolico, messo alla prova da questi tempi maliziosi, ma tenace nella sua fiducia nella giustizia di Dio.
di Michele Brambilla
Domenica 21 luglio l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, si reca nella chiesa di S. Pietro Celestino, affidato alla comunità cattolica libanese, che celebra in Rito maronita la memoria liturgica di S. Charbel Makhluf, mistico dell’Ottocento. L’arcivescovo ambrosiano si limita solo ad assistere ad una Messa che viene officiata in aramaico, ma poi prende ugualmente la parola: «celebriamo la festa di san Charbel, uomo trasfigurato in luce e preghiamo che interceda per noi, perché anche noi siamo avvolti di luce».
Di quale luce parla mons. Delpini? La tratteggia con toni quasi estatici: «la luce! La luce è l’irradiazione della gloria della Santissima Trinità. La luce visibile è immagine di quello splendore che abita il cuore dei santi, che si accende nella santa liturgia, che accompagna il cammino dei credenti». Una luce non solo da celebrare con un’ode poetica, ma anche e soprattutto da invocare per l’intera comunità cristiana. «Invochiamo la luce che ci consenta di dimorare nella preghiera. S. Charbel ha vissuto nella vita monastica e nella vita eremitica “immerso in profonda preghiera”». Una immersione che è possibile anche al credente comune, se riesce a cogliere la luminosità che la liturgia esprime ordinariamente. «La preghiera liturgica e la devozione personale sono il tempo che concediamo allo Spirito Santo per conformarci al Figlio di Dio e trasfigurare tutta la nostra vita nella vita di figli di Dio». Qui mons. Delpini assume d’un tratto un tono “ignaziano” quando parla di “desolazione”: «la luce di Dio percorre i sentieri della memoria, dei giorni della desolazione e della umiliazione e vi semina il perdono e il frutto della riconciliazione. La luce di Dio avvolge le relazioni con gli altri, quelle affettuose e gratificanti e quelle difficili e frustranti, e rende possibile la benevolenza, la mitezza e la pazienza», forse la virtù più difficile ai nostri tempi perché viene continuamente messa alla prova dalla protervia delle opere malvagie.
Allora, conclude l’arcivescovo, «invochiamo la luce che ci aiuti ad essere gente di pace. San Charbel nella sua umiltà, nel suo nascondimento ha pregato con particolare devozione la Vergine Maria e ha sperimentato la maternità affettuosa di Maria. Ci aiuti ad essere gente di pace, anche nei momenti in cui sembra inevitabile dare sfogo all’esasperazione, anche nelle terre dove sembra che la zizzania abbia invaso tutto il campo. La pace è un frutto della luce che non si lascia spegnere dall’impazienza e lascia a Dio il giudizio».