L’arcivescovo torna a parlare dell’atteggiamento che il cattolico deve avere di fronte al dolore. Essere con Gesù nella gloria non è una pia illusione, ma la conseguenza logica di una relazione reale ed intima con il Maestro già sulla terra.
di Michele Brambilla
Nel pomeriggio del 2 ottobre, festa degli Angeli custodi, mons. Mario Delpini presenza all’VIII Convegno Apostolico “La spiritualità nella Qualità della vita: il dominio mancante”, promosso dall’Opera Don Orione nell’aula magna dell’Università Cattolica di Milano. Sono presenti il provinciale dell’Opera don Aurelio Fusi, il rettore dell’Università Franco Anelli, l’assistente ecclesiastico, mons. Claudio Giuliodori e, con loro, moltissimi medici, volontari e operatori sanitari. Non poteva che essere così, vista la tematica e i punti di tangenza con la sentenza con la quale la Corte Costituzionale ha di fatto depenalizzato il suicidio assistito ad alcune (vaghe) condizioni lo scorso 25 settembre.
Prendendo la parola, mons. Delpini afferma che «fragilità e fede è una delle questioni centrali della riflessione teologica-antropologica e tra quelle che hanno una risposta meno consensuale. È un tema che continua a interrogarmi». L’arcivescovo sonda la risposta del paziente al mistero del suo dolore.
La prima forma di risposta è una sorta di “fede magica”. «Nella fragilità è abituale sviluppare un senso di colpa e cercare un esorcismo per contrastare gli influssi malefici. La fragilità può avere le forme più diverse, ma il dinamismo della fede magica sembra sempre piuttosto simile. La fede magica si manifesta in modi molto diversi, anche in rapporto alle diverse culture. La fede magica può anche essere ritenuta e disprezzata come infantile o primitiva, pre-scientifica, irrazionale. Ma», ammonisce mons. Delpini, «il disprezzo non è mai una buona via per conoscere e comprendere». Bisogna prendere esempio da Gesù, che ha saputo valorizzare anche il “tocco” superstizioso dell’emorroissa (Mc 5,34).
La seconda risposta potrebbe essere il paganesimo del “do ut des”. «La fede pagana interpreta anche l’alleanza come un contratto di dare e avere: le buone opere sono quello che il popolo deve dare, il successo negli affari o nelle guerre, l’ingresso nel premio eterno sono quello che Dio è in dovere di procurare», quindi il male deriverebbe da una colpa dell’uomo. Qui il rifiuto cristiano si fa più esplicito: «la fede pagana è decisamente contrastata dai profeti, da Gesù e da Paolo. Si rimprovera alla fede pagana la presunzione di essere in credito con Dio per le buone opere compiute o per le leggi osservate», tuttavia sono atteggiamenti nei quali anche il cattolico può facilmente precipitare.
La vera risposta è insita proprio nella fede cristiana. «In molte parole e in molte occasioni Gesù ha invitato a credere in lui, e ha assicurato che la fede in lui introduce nella vera vita, la vita eterna (cfr. in particolare nel Vangelo di Giovanni: 3,15.16.18.23; 6,40.47 ecc.). La fede cristiana è l’atteggiamento della persona che non è ispirato dalle sue paure (cfr. la fede magica) né motivato dalla sua presunzione (la fede pagana), ma piuttosto fiducioso nelle promesse di Dio». Questa promessa è una chimera? No, «non è solo una convinzione, ma una relazione personale» reale ed intima, sulla base della quale si può tranquillamente affermare che dove è il Maestro là sarà anche il suo discepolo. Un discorso che vale sia per la croce, sia soprattutto per la gloria immortale.
Lunedì, 7 ottobre 2019