Mons. Mario Delpini porge ai ragazzi che frequentano le scuole FAES e ai loro docenti un decalogo valido per tutti i cattolici in tempi nei quali sono portatori di opinioni scomode per il mainstream mediatico-culturale.
di Michele Brambilla
Martedì 8 ottobre l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, si reca nel cortile dell’Istituto FAES di viale Argonne, dove celebra la Messa davanti ad alunni e insegnanti. Oggi non è facile proporsi come scuola cattolica in un contesto laicista pervasivo. Afferma l’arcivescovo: «bisogna riconoscere che ci sono momenti in cui i cristiani sono antipatici: non fanno niente di male, eppure molti li guardano come fossero un fastidio, un disturbo; non vengono a imporre niente, ma già il fatto che esistano genera il pregiudizio che siano invadenti; i cristiani – come è ovvio – hanno una visione cristiana del mondo, dell’uomo, della donna, del matrimonio, dell’economia, della vita e della morte: questo li rende una presenza antipatica». Serve allora l’adozione di un “manuale di sopravvivenza”, che adotta poche ma semplicissime regole.
La prima è «non mendicare simpatia, non venderti all’idolatria» per quieto vivere o inseguire un successo illusorio. «Se non percorri la via del sapere, ogni obiezione ti mette a tacere», infatti «di fronte alle accuse, alle insinuazioni, ai luoghi comuni nel leggere la storia, i cristiani possono rispondere, se sanno come sono andate le cose e se sanno i contenuti e gli argomenti della dottrina cristiana». Non solo: uniti è meglio che isolati. «L’amicizia e l’appartenenza alla comunità danno energie, fiducia, intraprendenza e fantasia per perseverare in ogni situazione», poiché «la vita cristiana non è una vita parcheggiata, non è una vita seduta su un divano. Il cristiano guarda avanti con fiducia: vive nell’attesa della manifestazione del Regno» e lo anticipa nelle sue opere.
Il tutto sorretto dalla costanza della preghiera. «I cristiani non sono cristiani perché portano un distintivo, ma perché hanno un rapporto vivo con Gesù: gli parlano, lo invocano, lo ascoltano. Cioè pregano» e si riservano anche nei giorni feriali un tempo apposito per farlo. «L’amicizia con Gesù, la fraternità dentro la comunità, la stima di sé perché abbiamo ricevuto una vocazione santa sono motivi sufficienti per riassumere nella gratitudine ogni giornata e ogni condizione che ci è data da vivere».