Nella felicissima ricorrenza, mons. Mario Delpini invita i cattolici ambrosiani a farsi carico ancora una volta della ricostruzione civile e morale del mondo contemporaneo, che si configura come una vera e propria «restaurazione della persona umana».
di Michele Brambilla
Il santuario del beato Carlo Gnocchi non riesce quasi a contenere i moltissimi fedeli (compresi molti alpini) che accorrono la mattina del 25 ottobre, festa liturgica del grande sacerdote ambrosiano (1902-56), per la Messa celebrata da mons. Mario Delpini nel 10° anniversario della beatificazione di colui che è stato definito “apostolo del dolore innocente” o “angelo dei mutilatini”, essendosi preso cura dei bambini rimasti orfani a causa della Seconda guerra mondiale e di quelli che venivano mutilati dalle mine ancora sparse per i campi attorno a Milano.
«Sulle macerie di una guerra disastrosa e assurda, in un contesto desolato, in un paese umiliato e tormentato da divisioni, desideri di rivincita, sensi di colpa», rievoca mons. Delpini, «don Gnocchi e tanti come lui hanno interpretato il loro tempo come il tempo adatto per ricostruire, per ricominciare, per riabilitare uomini e donne di ogni età e condizione, per dare principio a una storia nuova», a un’Italia rispettosa dei diritti basilari della persona e ancorata sui suoi valori cristiani.
In fin dei conti, dice l’arcivescovo, è la medesima sfida che tocca i cattolici odierni, timidi di fronte ad un mondo postmoderno che assomma le macerie di tutte le mode ideologiche che si sono alternate in questi secoli. «Il gemito del mondo è talora un grido, un allarme, uno spavento per l’impressione che tutto stia crollando; talora invece è un gemito sommesso, come di un animale ferito, uno struggente senso di impotenza; talora è come una stanchezza invincibile, un invecchiare estremo che dà l’impressione dell’irrimediabile», ma assicura che oggi, come nel 1945, «la creazione geme, ma non per morire, ma per partorire».
Bisogna crederci, però. Vedere l’alba nel cuore della notte. «Troviamo buone ragioni per avere stima di noi stessi, apprezzare la nostra situazione come occasione, praticare una intima libertà dai giudizi e dai pregiudizi degli altri, perché riceviamo la rivelazione dell’opera di Dio per noi: egli ci ha donato il suo Spirito. E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. Chiunque confessa che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli in Dio (cfr 1Gv 4,13s)». Il grande testimone della nuova evangelizzazione per i giovani è stato san Giovanni Paolo II (1978-2005), commemorato con una Messa in S. Ambrogio la sera di quello stesso 25 ottobre. La sfida è, come sempre, rivelare all’uomo la sua preziosità agli occhi di Dio. Ripete mons. Delpini: «la missione del Figlio ci ha rivelato che noi siamo preziosi per Dio e che l’opera di Gesù ci ha donato lo Spirito di Dio: siamo stati amati e resi capaci di amare. Siamo elevati alla dignità di figli di Dio. Tutti, tutti, uomini e donne trovano in questo la loro dignità e la loro grandezza». La cifra del magistero di Papa Wojtyla e di don Gnocchi è stata nientemeno che «la restaurazione della persona umana».
Lunedì, 28 ottobre 2019
Michele Brambilla
Michele Brambilla, nato a Monza nel 1987, laureato in Storia presso l'Università Cattolica di Milano, alunno dell'Istituto di Scienze Religiose Paolo VI della stessa città. Amante della Liturgia e di storia...ovviamente ambrosiana.