Mons. Delpini cita la lettera del Papa per la XXVIII Giornata mondiale del malato per mostrare come anche nel momento della prova suprema trionfi la carità di Cristo.
di Michele Brambilla
Nella mattinata di sabato 8 febbraio si svolge, in via S. Antonio 5 a Milano, il convegno organizzato dall’Arcidiocesi di Milano in vista della XXVIII Giornata mondiale del malato (11 febbraio). Sono invitati gli operatori sanitari e anche i ministri straordinari dell’Eucaristia, spesso inviati dai loro parroci nelle case degli anziani e degli infermi per portarvi i conforti religiosi.
Non fa mancare un proprio intervento l’arcivescovo, mons. Mario Delpini. Egli legge integralmente il messaggio del Santo Padre per la ricorrenza della Madonna di Lourdes, che prende le mosse dalla citazione di Mt 11,28: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro». Successivamente, ne abbozza un commento, che cerca di individuare il nocciolo del discorso. «La situazione del malato è interpretata dal titolo del messaggio del Papa con due tratti che Gesù riconosce come situazione umana generale: affaticati e oppressi».
Il primo tratto obbliga a riconoscere che «il malato è stanco perché la condizione della malattia comporta aspetti come il tempo, la mancanza di riposo anche se si sta a letto tutto il giorno, la fatica fisica imposta dalle cure, la debolezza imposta dalla malattia e dalle terapie». Il senso di oppressione che percepisce «è la condizione di angoscia per la propria situazione e per le prospettive enigmatiche, per la mortificazione che la situazione impone isolando dalla famiglia, per chi ce l’ha, dalle persone care, dagli ambienti e i ritmi ai quali si era abituati». In una simile situazione, dice l’arcivescovo, può insinuarsi facilmente il tentatore. «Il nemico può indurre al ripiegamento su di sé, alla depressione, all’isolamento. Il nemico può indurre al risentimento verso Dio. Il nemico può indurre all’aggressività verso il personale sanitario», quando non gli si impongono per legge prestazioni contrarie al giuramento di Ippocrate.
Tuttavia, assicura mons. Delpini, «Gesù sta alla porta e bussa, anche durante la malattia». Quel Dio che ha creato l’uomo per la vita non si tiene lontano da lui neppure nel momento della prova. «E le parole del Vangelo possono risuonare in modo mai sperimentato prima», rievocando sì il mistero della morte, ma anche la gloria della Risurrezione.
«La relazione con Gesù è l’ingresso nella comunione che rende santi, perché più docili allo Spirito Santo. Ci sono santità eroiche in cui sembra che il protagonista sia la personalità dell’uomo e della donna che si venerano sugli altari e di cui si ammirano opere meravigliose. Ma», avverte l’arcivescovo, «è sempre lo Spirito di Dio che opera», non solo quando si è forti e sani. «Ci sono forme di santità che sono vissute nella debolezza e che rivelano in modo più evidente l’opera di Dio: in particolare impressiona la serenità, la testimonianza di speranza di vita eterna, la pratica della carità nella sollecitudine verso gli altri».
Persino «nella condizione del malato si contempla che la terra è piena della gloria di Dio. La gloria di Dio è l’amore che rende capace di amare. Non c’è nessuna condizione, non c’è nessuna situazione da cui sia assente l’amore che rende capaci di amare, cioè lo Spirito Santo».
Lunedì, 10 febbraio 2020