È possibile all’indaffaratissimo clero ambrosiano? Si, secondo mons. Delpini, se saprà far tesoro dell’esempio di san John Henry Newman, sulle cui orme si svolge un pellegrinaggio in Inghilterra, guidato dallo stesso arcivescovo.
di Michele Brambilla
Il 10 febbraio inizia a Londra il pellegrinaggio annuale dei sacerdoti ambrosiani nei primi anni di Messa. Quest’anno la meta è la megalopoli inglese, emblema della città opulenta, secolarizzata e multiculturale contemporanea, non priva di tensioni sociali. Vi si va, non a caso, per impararvi uno stile pastorale adatto alla nuova evangelizzazione.
Un suggerimento sembra venire dalla vicina Oxford, raggiunta l’11 febbraio, dove si trovano i luoghi più cari a san John Henry Newman (1801-79). Lì, infatti, il grande teologo ebbe modo di esplicitare il suo pensiero sul liberalismo nella Chiesa anglicana, di cui allora faceva orgogliosamente parte; lì studiò quella Patristica che lo convertì al cattolicesimo nel 1845, scoprendo che Dio cor ad cor loquitur; lì, nella città universitaria che egli paragonava all’antica Antiochia, intuì che nel mondo moderno occorre ridire i “fondamentali”, non con l’arroganza di chi “conosce”, ma con la gentilezza e l’umiltà di colui che è egli stesso in braccio alla Verità. I preti milanesi visitano la “St. Mary’s” in cui Newman officiava da anglicano ed è loro concesso di toccare con mano la patena e il calice che il santo adoperava durante le celebrazioni liturgiche.
Mons. Mario Delpini, che segue tutto il pellegrinaggio, torna sulla figura di Newman nella meditazione che offre ai presenti nella chiesa parrocchiale cattolica di S. Thomas Becket a Canterbury il 13 febbraio. Esordisce con una citazione diretta del cardinale oratoriano: «“Non morirò, perché non ho peccato contro la luce” (Newman, Apologia, 172)». Mons. Delpini ne offre questa esegesi: «essere liberi, così liberi da non temere la verità; essere semplici, così semplici da non cercare maschere, autogiustificazioni. Essere nella luce perché io possa riconoscere la mia verità, perché io possa confessare la mia verità, perché io possa chiedere il giudizio sulla mia verità». Ed aggiunge: «la sincerità è una resa alla luce. “Guidami, luce gentile”». Il primo compito del sacerdote è trasmettere la luce gentile di Dio con la sua stessa persona.
Sorge, allora, la domanda se l’indaffaratissimo clero ambrosiano, “famoso” per le sue agende stracolme di riunioni e impegni pastorali, trovi davvero il tempo per contemplare la Luce di cui deve essere testimone. L’arcivescovo ammonisce: «il sapiente, secondo l’immagine idealizzata della tradizione antica, e secondo l’incarnazione in figure esemplari, invita a costruire quei tratti che lo rendono amabile». Nella biografia di san John Henry Newman e nel suo stile sacerdotale «si propone un itinerario promettente per l’assimilazione di una verità che si rivela “sapida”, un sapere ricco di sapore» per chi cerca il Signore con cuore sincero.
«Nel contesto attuale del cattolicesimo ambrosiano», asserisce mons. Delpini, «forse si vive il rischio di dare l’immagine di un clero generoso, indaffarato», ma «sprovvisto di strumenti culturali all’altezza delle sfide contemporanee. Il prete non deve essere un intellettuale, ha però gli strumenti per essere sapiente»: la Scrittura, la tradizione della Chiesa (l’arcivescovo suggerisce la lettura dei Sermoni parrocchiali dello stesso Newman) e le analisi della stampa davvero “buona”, quella che ricalca i contenuti effettivi del Magistero ecclesiale.
Lunedì, 17 febbraio 2020