Ecco perché, secondo mons. Delpini, le scuole cattoliche devono e possono andare avanti, nonostante la forte discriminazione che ne coarta, spesso, la sopravvivenza.
di Michele Brambilla.
Le scuole cattoliche paritarie presenti sul territorio dell’arcidiocesi di Milano sono un patrimonio molto consistente di persone, strutture e carismi. Le scuole cattoliche primarie (le vecchie “elementari”) e secondarie di I e II grado si contano in numero di 441; ad esse vanno aggiunte le 557 scuole d’infanzia, dette comunemente “asili”, spesso fondate e dirette dalle parrocchie. La mattina del 20 febbraio mons. Mario Delpini incontra questo vasto mondo nel corso di un convegno ospitato al Teatro Angelicum di Milano, intitolato significativamente Facciamo scuola, facciamo Chiesa.
I due poli, secondo l’arcivescovo, sono e rimangono strettamente uniti. «La Chiesa che educa, in quanto è popolo, intende la scuola anzitutto come comunità», specchio a sua volta della comunità che è il “mondo esterno” nel quale gli alunni vivono. «Nella Chiesa ogni persona è unica, con le sue ferite e imperfezioni. Lo sguardo che riconosce dice, ai bimbi della scuola di infanzia fino ai giovani della Maturità, che sono adatti, meritevoli di essere amati e, per questo, capaci di amare».
L’attenzione al singolo è in vista della costruzione di un ambiente nel quale esso possa essere pienamente valorizzato nei suoi talenti. La scuola si rivela, perciò, anche un percorso vocazionale: «il percorso educativo nell’impegno scolastico, è caratterizzato da una voce che chiama. C’è un modo di interpellare la libertà – come ha fatto Gesù con Matteo – che fa alzare in piedi e camminare perché c’è una mèta che vale la pena desiderare». Secondo mons. Delpini, «Educare, formare, istruire sono tutti verbi sussidiari del verbo chiamare. L’adulto rivolge una parola alla libertà di questi giovani per indicare la mèta e dare una speranza».
La Chiesa, però, è consapevole che nel mondo contemporaneo questo significa farsi carico, molto spesso, di vicende personali e familiari molto intricate. Nel contesto sociale contemporaneo, lo sguardo della comunità cristiana che mons. Delpini definisce «realistico» si trasforma inevitabilmente in una valutazione “clinica”: ecco allora il ruolo «terapeutico» dell’istituzione scolastica, non solo in ambito cattolico. «La scuola», afferma infatti l’arcivescovo, «è una terapia proprio perché chiede una disciplina e una regolarità – tutti i giorni si va a scuola -, perché è una comunità, un ambiente, una struttura, una dinamica di gruppo che promuove una dimensione relazionale, corporea, fisica e psicologica», in cui l’individuo comprende di essere parte di qualcosa di più grande.
Questo qualcosa sono sia la comunità ecclesiale nel suo complesso che la società civile. Le scuole cattoliche hanno lo scopo di «formare non solo persone che sanno stare al mondo, ma che trasformano il mondo. Facciamo scuola vuole dire proprio fare Chiesa e fare Chiesa significa indistricabilmente fare scuola», scuola di umanità autentica, plasmata da Cristo. Mons. Delpini ammette che «la discriminazione che subiscono le nostre scuole, con condizioni più sfavorevoli dal punto di vista economico, è un cruccio. Se ne può uscire con la consapevolezza di un giudizio di valore sul carisma delle nostre scuole». Se si è certi del perché e del per Chi si lavora, si può fare “scuola cattolica” anche negli scantinati o in una baracca.
Lunedì, 24 febbraio 2020