La sera del 19 marzo l’arcivescovo di Milano invita gli ambrosiani ad unirsi al S. Rosario per l’Italia, indetto dalla CEI, con un altro videomessaggio, nel quale richiama l’importanza singolare dell’atto di affidamento e suggerisce di farlo presiedere ai papà.
di Michele Brambilla
Il 18 marzo in Italia si tocca la cifra record di 475 decessi nelle 24h per le complicanze dovute al coronavirus, di cui 319 proprio in Lombardia. L’alba della festa di san Giuseppe (19 marzo) consegna agli italiani e alla storia le immagini del triste corteo notturno di carri militari che ha scortato fuori Bergamo, in quelle ore epicentro del contagio, centinaia di bare.
La sera del 19 marzo viene trasmesso in diretta dalla basilica romana di S. Giuseppe al Trionfale un Santo Rosario nazionale, proposto dalla Conferenza Episcopale Italiana affinché il Signore, per intercessione della Sacra Famiglia, ponga fine alla piaga del COVID-19. I fedeli di tutta Italia manifestano la propria partecipazione spirituale ed emotiva a questa preghiera accendendo lumi sui balconi ed esponendo drappi bianchi alle finestre. Anche il Papa non fa mancare un suo messaggio, che legge davanti ad un’icona di san Giuseppe dormiente appesa in Casa S. Marta e si traduce in un’ulteriore richiesta di intercessione.
Pochi minuti prima della diretta televisiva, mons. Mario Delpini pubblica un nuovo videomessaggio ai fedeli ambrosiani. «Un gesto doppiamente significativo», dice riferendosi all’imminente Santo Rosario nazionale, «perché riunisce tutta la Chiesa italiana e perché si compie nel giorno di San Giuseppe, festa del papà». Il peso della situazione creata dal coronavirus ricade, infatti, soprattutto sui padri, specialmente quelli che, in prospettiva, rischiano di pagare le conseguenze della futura crisi economica conseguente al contagio. A loro l’arcivescovo di Milano chiede di rimanere nella speranza teologale: «il dono che si può fare ad un papà quest’anno è quello di dargli l’onore di presiedere lui questo Rosario, di introdurre lui il Rosario per i suoi familiari», perché in una situazione di questo tipo «abbiamo bisogno di un supplemento di spiritualità, che vuol dire un modo di guardare le cose nella luce dello Spirito di Dio».
L’arcivescovo ribadisce: «viviamo questo tempo nella speranza e nella solidarietà». Laddove non è possibile la carità materiale, la solidarietà si faccia perlomeno spirituale nell’incessante preghiera di intercessione. Mons. Delpini è disposto a salire altre volte presso la Madonnina del Duomo per portarle tutte le richieste spirituali di cui verrà a conoscenza.
Il vicario generale dell’arcidiocesi, mons. Franco Agnesi, raccomanda ancora una volta ai parroci l’uso del suono delle campane come espressione di vicinanza ai fedeli e come segno di coesione della comunità: «nei secoli, attraverso lo scampanìo, si segnavano le ore, si ritmava il lavoro, si veniva chiamati a raccolta, si davano annunci, ci si raccoglieva in preghiera per un evento luttuoso o felice. In queste settimane, dove non si può essere fisicamente vicini o riunirsi nelle chiese, suonare le campane può divenire un modo per sottolineare la vicinanza spirituale degli uni agli altri – a ogni altro – anche a chi, magari, pur in momenti normali, è fragile, solo, in difficoltà». Perché «è giusto e molto bello che si moltiplichino i contatti sui social, che i preti inventino nuove forme pastorali di presenza a distanza, con la fantasia e quel grande impegno pastorale che caratterizza il clero ambrosiano […]. Ma non siamo solo social, siamo qualcosa di più, siamo società, siamo Chiesa, siamo un popolo in cammino», e deve essere visibile a tutti.
Lunedì, 23 marzo 2020