Mons. Ennio Apeciti racconta la quarantena nel Pontificio Seminario Lombardo di Roma: contagiato dal Covid-19, è riuscito a resistere grazie alla speranza di rivedere il nostro Duomo.
di Michele Brambilla
Nella settimana dal 2 al 9 agosto viene pubblicata una bella intervista al rettore del Pontificio Seminario Lombardo in Roma, mons. Ennio Apeciti. Colpisce la figura dell’intervistato, una persona dalla fede semplice benché sia tutt’ora il teologo responsabile delle cause di canonizzazione promosse dall’arcidiocesi di Milano, ma è altrettanto curiosa la vicenda dell’istituto che guida. Il Pontificio Seminario Lombardo fu infatti fondato nel 1865 dal beato Pio IX (1846-78) presso la basilica dei SS. Ambrogio e Carlo al Corso, nella quale si celebra tutt’ora in rito ambrosiano, per contrastare il predominio del clero liberale nelle diocesi lombarde e venire incontro ai chierici che intendevano concludere il loro iter formativo presso le università pontificie. Uno dei suoi primi alunni, il card. Achille Ratti (1857-1939), divenuto Papa Pio XI, trasferì la sede del Seminario Lombardo sull’Esquilino, accanto alla basilica di S. Maria Maggiore, dove si trova anche al giorno d’oggi. Un altro alunno molto famoso fu il pavese don Davide Albertario (1846-1902), a cui Pio IX affidò (1873) la direzione del quotidiano milanese L’Osservatore cattolico (1863-1907).
Mons. Apeciti ha vissuto il lungo lockdown proprio nei locali di questo particolare istituto, il cui edificio è stato rinnovato nel 1963. Come racconta, «pensavamo di essere esenti, lontano dalle terre più martoriate, ma poiché due dei nostri studenti erano stati in zona di epidemia a Bergamo», diocesi dalla quale provenivano, «abbiamo dovuto chiudere per quasi due mesi e mezzo, in un lockdown voluto dall’Azienda sanitaria locale. Ognuno dei 25 preti presenti in quel momento viveva nella propria camera, fornita di servizi», salvo organizzare dei turni per coprire quelle corvées necessarie alla vita quotidiana che sono affidate normalmente al personale laico, come stava accadendo anche nel Seminario Arcivescovile di Venegono Inferiore.
Essendo a Roma, mons. Apeciti e i suoi 25 alunni hanno coltivato a lungo l’illusione di essere lontani dalle aree in cui il contagio infuriava, invece è stato proprio il rettore ad ammalarsi: «ho vissuto il Covid-19 in un duplice modo, direi, perché le previsioni per la mia salute erano davvero sconfortanti. È stato interessante ascoltare dai medici che, forse, ero arrivato alla fine. Questo paradossalmente mi ha aiutato, perché ho capito anzitutto che l’essenziale era lasciar fare a Dio» per quanto riguardava la sua persona, ma bisognava comunque tenere alto il morale della “truppa”.
Mons. Apeciti ammette: «diciamo che ho tentato. Chiuso, distante da Milano, con nel cuore la nostalgia, ho pensato che fosse importante sviluppare maggiormente il dialogo con gli amici, con i preti lontani», e quando la situazione sembrò precipitare «sognavo di vedere la Madonnina, il Duomo, di incontrare il mio arcivescovo, che è un amico, e di tornare nel Seminario di Venegono, che ha significato tanto nella mia vita. Mi piace ricordare che, quando l’allora arcivescovo Scola mi chiese di venire a Roma a fare il rettore, appena uscito dal suo studio un po’ confuso, andai in Duomo e passeggiai presso le tombe degli arcivescovi di Milano. Il Duomo dà sempre forza a un prete ambrosiano», specie se “ferrato” nella “storia patria”, e il miracolo è avvenuto.
Si è soliti ripetere che gli ambrosiani e il rito ambrosiano sono rigorosamente cristocentrici, ma è proprio guardando a Gesù che è sorta una altrettanto forte devozione nei confronti della Madre di Dio: ad Iesum per Mariam.
Lunedì, 10 agosto 2020