Mons. Delpini ripete che la ripresa delle attività pastorali deve avvenire all’insegna della rielaborazione, all’interno di un pensiero pienamente cattolico, delle riflessioni scaturite dalla pandemia.
di Michele Brambilla
Come ormai consuetudine della Zona pastorale III, il 14 settembre mons. Mario Delpini si reca a Lecco, nella chiesa prepositurale di S. Niccolò, per la presentazione ufficiale della sua lettera pastorale, che ruota attorno al libro del Siracide. Come ammette lo stesso arcivescovo, l’idea di proporre alla riflessione dei fedeli quella lettura sapienziale è antecedente all’arrivo in Italia del coronavirus: «volevo intitolare la proposta “Un po’ di buon senso”» per invitare le comunità ambrosiane ad una pausa di riflessione, ma «poi è arrivata la pandemia, un tempo così tragico e complicato che aveva anche avuto reazioni scomposte – persone che dicevano che non era niente e persone terrorizzate – e allora avevo pensato a un altro titolo: “Non è obbligatorio essere stupidi”». L’emergenza del Covid-19 ha posto ancora di più l’accento sulla necessità di una lettura delle vicende contemporanee attraverso i suggerimenti che offre la plurisecolare sapienza cristiana. «Infine abbiamo scelto il titolo “Infonda Dio sapienza nel cuore”, ossia una visione più religiosa e intensa di questa ricerca della sapienza» che riguarda tutti gli uomini.
Riflettere non è un ripiego da intellettualoidi: «invoco dal Signore e vi auguro una specie di entusiasmo per dire come è bella la sapienza che ci aiuta a interpretare il mondo, ragionando insieme dei valori che ci tengono uniti e come è bello cercare le parole che danno speranza anche nella tribolazione. Un atteggiamento, questo, oggi cancellato, perché sembra che siamo diventati tutti, se pure competenti ed efficienti, coperti da una specie di grigiore che il lamento contribuisce a incrementare». È quello che l’arcivescovo scrive anche nella lettera (intitolata significativamente: Cattolico italiano, che cosa pensi?) per i 100 anni dalla fondazione dell’Università Cattolica (1921): «il pensiero si applica con successo in tanti campi e produce risultati meravigliosi», ma le sue migliori applicazioni non si trovano nei “prodigi” della tecnica e neppure in una reazione astiosa al neopositivismo imperante. «Se un tempo i credenti potevano essere considerati imbarazzati di fronte alla sfida del pensiero», constata mons. Delpini, «oggi si propongono come interlocutori fieri di poter affrontare le questioni fondamentali, senza complessi, se non quello di essere impopolari perché “non politicamente corretti”».
Nel messaggio per la Giornata del Seminario (20 settembre) l’arcivescovo osserva: «le cose talora si capiscono al contrario. L’ovvio è una specie di virus che produce quella malattia insidiosa che è l’ottusità», che non sa cogliere i significati profondi sottesi alla stessa routine quotidiana. L’ottusità del pensiero contemporaneo si rifugia nelle etichette, ma i cattolici dovrebbero conoscere il dettato della Scrittura, «“Dalla parola del Signore furono fatti i cieli” (Sal 33,6)». «Gli amici di Dio», dice mons. Delpini, «sono uomini e donne che abitano la terra e non solo custodiscono la bellezza del mondo, ma creano le condizioni per lo stupore, il desiderio dell’ascolto» perché sono gli unici che, con commozione e senza superbia, possono affermare di essere in braccio alla Verità: «la Giornata per il Seminario si offre a tutta la comunità diocesana come un momento di grazia: può segnalare che non è obbligatorio essere stupidi, si può capire qualche cosa della vita e fare dello stupore una porta di ingresso alla bellezza della vita».
Lunedì, 21 settembre 2020