Mons. Delpini ripercorre i luoghi simbolo della pandemia ed esorta nuovamente alla concordia le autorità civili e le altre Chiese cristiane
di Michele Brambilla
Il 31 dicembre mons. Mario Delpini intona, come vuole la tradizione, due Te Deum: uno al Pio Albergo Trivulzio; il secondo, per tutti i milanesi, nella chiesa gesuita di S. Fedele, nel cuore di quel centro storico che sta patendo le restrizioni riguardanti il commercio e il tempo libero.
Al Te Deum presso il Pio Albergo Trivulzio si presentano anche il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, e il sindaco di Milano, Giuseppe Sala. Come sappiamo bene, la celebre RSA milanese non rappresenta solo il simbolo del dramma patito in tutte le case di riposo, falcidiate dalla pandemia, ma anche il triste ricordo delle polemiche pretestuose contro l’operato della Regione. In un luogo, allora, doppiamente simbolico l’arcivescovo paragona le componenti della società civile ad una catena inscindibile: «l’anello ha un incarico essenziale, nessuno può sostituirlo: se manca la catena si spezza, è inutile, è inservibile. L’anello è quindi unico: può essere simile a molti altri, può anche essere in certa misura originale, ma il suo valore non è l’originalità, ma il servizio che rende di tenere unita la catena».
Ogni anello è legato al passato e si proietta già nel futuro. «Il saggio sa che il passato non è perfetto», ma non si deprime: «dal passato il saggio sa di aver ricevuto anche ferite e mortificazioni: sa perdonare e il suo perdono si esprime anche nella sollecitudine con cui si prende cura del passato e sa correggerne le storture». La soluzione non è fare tabula rasa o “puntare il dito” contro qualcuno, ma riprendere il cammino tutti assieme, perché «a noi tocca di essere l’anello presente».
A S. Fedele mons. Delpini fa passare davanti agli occhi dei fedeli ambrosiani i mesi più tragici dell’emergenza che stiamo ancora vivendo: «l’umanità si è rivelata nella sua tragica grandezza. È stato un anno di sconfitte: un organismo invisibile ha umiliato l’organizzazione, la scienza, i progetti, l’iniziativa di tutta intera l’umanità, ma l’organismo invisibile insensato e incosciente ha rivelato quanto gli uomini e le donne siano tragicamente grandi».
Il Te Deum è un inno di ringraziamento e qualcosa per cui ringraziare c’è: «uomini e donne sono rimasti al loro posto, hanno continuato a far funzionare il mondo: gli ospedali, le parrocchie, le scuole, i trasporti, i negozi, le mense per i poveri. Uomini e donne di buona volontà, con consapevolezza e determinazione, con vigile attenzione e disponibili non di rado all’eroismo, hanno fatto il loro lavoro, là dove era più evidente il pericolo». Forse, dice ancora, «non hanno fatto solo il loro lavoro. Hanno fatto di più. Hanno ritenuto irrinunciabile la solidarietà. Si sono fatti avanti per soccorrere il bisogno dei più fragili. Si sono ingegnati a trovare soluzioni per problemi insolubili, perché non sopportano di lasciare senza risposta una domanda, senza soccorso una necessità».
Come ripete anche ai rappresentanti delle altre confessioni cristiane durante la Messa del 1 gennaio in Duomo, in un mondo che scambia la pace per l’indifferenza o l’ostentazione temporanea di “buoni sentimenti” «c’è gente che raccoglie con intensità i messaggi che vengono dalla moltitudine degli inviati di Dio» e sa trasportarli nel suo operare concreto, unendo contemplazione e azione. Costoro sono, devono essere, tutti i battezzati.
Lunedi, 4 gennaio 2021