Milano sembra paralizzata dall’angoscia e dal relativismo postmoderno. «Mettiamoci», quindi, «in cammino per andare a adorare il re dei Giudei, il Cristo, il nostro Dio e salvatore Gesù Cristo»
di Michele Brambilla
L’omelia che mons. Mario Delpini pronuncia in Duomo il 6 gennaio, giorno dell’Epifania, proprio mentre nella vicina S. Eustorgio i figuranti dei re Magi omaggiano la statua di Gesù Bambino al termine della Messa officiata nella basilica da mons. Paolo Martinelli, ha lo scopo di svegliare Milano dal torpore spirituale. La sintassi dell’arcivescovo è molto incalzante: «gente del mio tempo, perché non sei in cammino? Perché te ne stai seduta nelle tenebre che ricoprono la terra, nella nebbia fitta che avvolge i popoli? Gente del mio tempo, quale male oscuro impigrisce il tuo pensiero, sfianca le energie, dissuade dal sognare? Gente del mio tempo quale sospetto ti rende diffidente? Quali ossessioni ti rendono irrequieta? Quali paure bloccano lo slancio? Gente del mio tempo, chi ti ha convinta che quando c’è la salute c’è tutto, se per l’ossessione di custodire la salute ti privi di tutto? Chi ti ha persuasa che la generosità sia un azzardo, che la compassione una debolezza, l’amore sia un pericolo, la promessa che si impegna per sempre una imprudenza? Gente del mio tempo perché te ne stai a testa bassa a compiangere la tua situazione?». Una sfilza di interrogativi, che pungolano l’anima del milanese spaventato dalla pandemia e depresso dal relativismo postmoderno.
Quello che mons. Delpini chiama «male oscuro» non tormenta Milano solo dal 2020, ha radici più antiche. L’arcivescovo ritiene che non sia ancora stato affrontato adeguatamente dall’arcidiocesi: «il disprezzo che circonda la parola della Chiesa, la noia con sui sono sopportate le nostre prediche, l’indifferenza che rende insignificanti le nostre proposte forse ci hanno intimidito, ci hanno indotto a ridurre il messaggio a qualche buona parola consolatoria. Forse persino ci hanno indotto a dubitare di avere qualche cosa da dire a questa generazione che preferisce la disperazione alla speranza, preferisce fare a meno di Dio, piuttosto che lasciarsi inquietare dall’invito a conversione».
Ci vuole un dito che indichi la stella che guidò i Magi a Betlemme. Dice mons. Delpini: «forse sono ancora in tempo a ripetere l’invito del profeta, l’annuncio dell’apostolo, l’esperienza dei Magi. Il profeta infatti scuote la sua gente scoraggiata: Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te … su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti alla tua luce. … alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te (cfr Is 60,1ss)». «Noi dunque non abbiamo altro da dire che la parola della speranza, la verità di Gesù. È un messaggio», afferma l’arcivescovo, «inquietante che spaventa il re Erode e turba tutta Gerusalemme. È un messaggio inquietante e antipatico che attira l’ostilità di molti in molte parti della terra e che causa reazioni violente e persecuzioni. Ma è la parola che non possiamo tacere».
Risuona allora l’invito: «venite ad adorare il re dei Giudei, il Cristo», unico nome nel quale troviamo Salvezza, unico nome sul quale si può fondare una duratura ricostruzione post-pandemica. «Mettiamoci», quindi, «in cammino per andare a adorare il re dei Giudei, il Cristo, il nostro Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone. (Tt 2,13s)».
Lunedì, 11 gennaio 2021