Mons. Delpini invita l’Università Cattolica a non accontentarsi del “consenso facile”, perché la Verità può essere sanamente impopolare
di Michele Brambilla
Nel 2021 si celebrano i 100 anni dalla fondazione (7 dicembre 1921) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. I festeggiamenti si concentrano nella giornata del 13 aprile, quando l’arcivescovo di Milano viene invitato a celebrare una grande Messa nella basilica di S. Ambrogio e a tenere una prolusione in Aula Magna.
I quotidiani del 13 aprile snocciolano i successi dell’Università Cattolica, ma mons. Mario Delpini decide di pronunciare, davanti a studenti e accademici, un’omelia molto semplice: «non sono tanto bravo nelle citazioni e sono sempre molto condizionato dalla Parola di Dio proclamata. Non riesco ad andare molto oltre quello che sta scritto. Mi sono pertanto limitato a qualche spunto provocato dalle letture». Individua la spiritualità delle matricole in un santo stupore da custodire negli anni della maturazione. Il giovane si trasforma da “panchinaro” a protagonista della vita: «il protagonista che si fa avanti è quello che si scopre coinvolto, conosciuto, chiamato a mettersi in cammino per condividere l’impresa. Come capita a Filippo» nel Vangelo, «che si sorprende: “come mi conosci?”. Il percorso universitario in Università Cattolica non intende solo consegnare volumi noiosi che staranno poi negli scaffali per una vita, ma far crescere un senso di stupore per il coinvolgimento che le conoscenze comportano».
L’intera Università deve giocare da protagonista, come ribadisce l’arcivescovo nel discorso in Aula Magna, davanti ai professori e al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «l’istituto Giuseppe Toniolo», di cui mons. Delpini è presidente pro tempore, «ha, tra l’altro, il compito di offrire l’indirizzo alla attività della Università Cattolica del Sacro Cuore. Questo concetto di offrire l’indirizzo è certamente evoluto in questi cent’anni. All’inizio l’indirizzo offerto orientava l’università a entrare nella cultura italiana per conferire un ruolo ai cattolici e all’insegnamento della Chiesa», come accade tutt’ora, «ma c’è anche un altro criterio che potremmo chiamare “indirizzo dell’inquietudine”: è importante che l’Università Cattolica sia inquieta».
L’arcivescovo non ha in mente una destrutturazione del pensiero “sessantottarda”. Mons. Delpini precisa: «l’inquietudine significa che i successi mondani non sono mai il criterio decisivo, perché il criterio decisivo è la parola del Vangelo. L’inquietudine significa che l’impegno non si può esaurire nel conseguire risultati, perché deve essere orientato a una missione da portare a compimento. L’inquietudine significa che il gradimento è ambiguo e che non si deve temere l’impopolarità in nome della verità di cui siamo testimoni».
Un riferimento imprescindibile quindi c’è, ed è la Verità cristiana. Essa ci spinge ad “inquietarci” per le storture e le strutture di peccato che contaminano il mondo e a porvi rimedio, seguendo la dottrina sociale della Chiesa: «l’inquietudine significa che gli ambiti di ricerca non possono essere solo quelli che “soddisfano i clienti”, ma devono essere quelli che aprono orizzonti, che inquietano gli studenti e i docenti, che spingono la ricerca verso la comprensione di un umanesimo» solidamente «cristiano e la sua praticabilità nei diversi ambiti del vivere». Area degli allegati
Lunedì, 19 aprile 2021