La chiave per la ripartenza sta nella coincidenza della “festa dei lavoratori” con l’anniversario della consacrazione dell’abbazia cistercense, luogo in cui si applica da secoli l’ora et labora benedettino
di Michele Brambilla
Mons. Mario Delpini prepara il 1 maggio, per i cattolici festa di S. Giuseppe lavoratore, con la lettera, pubblicata già il 24 aprile, nella quale dice: «non viene spontaneo quest’anno chiamare “festa del lavoro” o “festa dei lavoratori” il Primo Maggio. Troppe incertezze, troppe tensioni, troppi problemi complicati» a causa della crisi economica innescata dalla pandemia. «Rispettando l’origine laica della festa, e proprio per onorarne l’identità profonda, se toccasse a me proporrei piuttosto di intitolare questa giornata: “promessa di una pagina nuova per il lavoro e i lavoratori”», riecheggiando tutta la ricchezza delle promesse bibliche, che rimandano alla Salvezza eterna. Il lavoro come luogo della cooperazione alla Creazione divina, come lo visse san Giuseppe: «il patrocinio di san Giuseppe, operaio di Nazaret, uomo di fatti e di fede, ci aiuti a vivere quest’anno a lui dedicato da papa Francesco, anche nell’ambito del lavoro e delle condizioni dei lavoratori, con opere di fatti e di fede». La fiducia nei confronti della Provvidenza divina è basilare per costruire serenamente un futuro migliore.
La prima carità da esercitarsi è abbandonare un atteggiamento da “lotta di classe”. Non la chiama per nome e cognome, ma è esattamente quella visone dicotomica della realtà che l’arcivescovo prende di mira laddove suggerisce: «in questa pagina nuova scriveremo non “uniti contro” qualcuno, ma “uniti per” scrivere una storia nuova. Le organizzazioni sindacali e la sensibilità maturata in questa tragedia impegnano a non essere uniti solo per categorie a difendere posizioni, ma uniti per difendere tutti: uomini e donne, occupati e disoccupati, giovani e adulti, garantiti e non garantiti, italiani e non italiani». Molto meglio l’alleanza tra le istituzioni e i corpi sociali, l’instaurarsi di rapporti di “buon vicinato”, come mons. Delpini ama ripetere anche in questa occasione.
L’arcivescovo visita il 28 aprile gli stabilimenti dell’Azienda Trasporti Milanesi, che esalta come modello dello sviluppo che intende pronosticare perché, dopo aver resistito ed operato anche nelle fasi più dure dell’emergenza Covid-19, ora si appresta ad assumere nuovi lavoratori, segno inequivocabile di fiducia nel futuro. Mons. Delpini ripete che «i lavoratori sono forti quando sono uniti, non come una corporazione che difende solo i propri diritti, ma come una popolazione che sa di doversi preoccupare anche per gli altri», pertanto «di fronte a soggetti legittimamente diversi, in questo momento mi pare necessario stringere alleanze tra Ente pubblico e iniziativa privata, tra le differenti forme di aggregazione sindacali, tra i lavoratori e azienda, tra le diverse associazioni».
Il messaggio più forte, però, l’arcivescovo lo dà lo stesso 1 maggio recandosi all’abbazia di Chiaravalle, che il giorno seguente celebrerà 800 anni dalla consacrazione della chiesa abbaziale, nella quale mons. Delpini è atteso per presiedere solennemente i Primi Vesperi. Anche il 25 aprile aveva valicato la soglia di 4 monasteri per esortare alla preghiera, in quel caso per le vocazioni (si era nella IV domenica di Pasqua, detta “del Buon Pastore”), ma visitare un monastero benedettino nel giorno della festa laica del lavoro significa ricordare, in maniera indiretta, che la vita dell’uomo non è monodimensionale e che per una vera giustizia sociale è necessario uno sguardo trascendente. Il riassunto di quanto l’arcivescovo va predicando negli stabilimenti industriali del territorio diocesano si trova, forse, proprio nella celebre formula “ora et labora” della Regola benedettina, che non ha mai disgiunto Cielo e terra.
Lunedì, 3 maggio 2021