Alla vigilia della Pentecoste mons. Delpini raduna in Duomo i ministri straordinari dell’Eucaristia, affinché riprendano con coraggio il proprio apostolato. Dopo aver difeso tenacemente la celebrazione della liturgia con il popolo, è ora di riconquistare la dimensione pubblica della Fede
di Michele Brambilla
Mons. Mario Delpini celebra alle 15.00 del 22 maggio, vigilia della Pentecoste, l’Ora Nona con i ministri straordinari dell’Eucaristia operanti nell’arcidiocesi ambrosiana. Sono più di 9000 i fedeli laici che, dal 1981, affiancano i sacerdoti, specialmente nella visita ai malati, portando agli infermi il conforto della Comunione eucaristica, ma il Covid-19 ha impedito per un anno e mezzo le visite ai parrocchiani più fragili. Ora, dice l’arcivescovo, è il momento di ripartire senza indugio anche con questo prezioso ministero, il più sacrificato, forse, dalla pandemia.
Nella sua omelia, mons. Delpini, che trae spunto dall’episodio dei discepoli di Emmaus, chiede: «che cosa vedono gli occhi “impediti di riconoscerlo” (Lc 24,16)? Vedono la storia come una tragedia fallimentare, una promessa non mantenuta, una speranza delusa», come può capitare a tanti malati, feriti nel corpo e nello spirito, ma «gli occhi dei discepoli tristi si aprono allo spezzare del pane. Quale esperienza di rivelazione, di sguardo nuovo è offerto dal segno che Gesù pone?». Anzitutto una sinossi della medesima Passione, che nell’Eucaristia è riprodotta sacramentalmente: Cristo si è offerto per redimerci dal male e con la Risurrezione ci ha restituito alla vita eterna. «Gesù quindi nel morire ha portato a compimento l’amore che fa vivere», ripete l’arcivescovo, «e non ha fallito la sua missione di liberare Israele. La morte è compimento e non fallimento» se vissuta come il momento decisivo dell’incontro con il Signore risorto.
Allora «il servizio della comunione ai malati può essere per il ministro e per il malato la grazia di aprire ancora gli occhi e riconoscere la presenza di Gesù. Talora è proprio la gioia del malato che riceve la comunione che rivela al ministro la presenza di Gesù risorto: non si tratta infatti solo di una visita da parte di persone di buone volontà che, a nome della comunità, interrompono la solitudine del malato», ma dello stesso Cristo, presente realmente nell’Eucaristia.
«Quando c’è la persuasione che lo scetticismo sia la forma più intelligente del realismo, anche il rimprovero, l’annuncio della parola, la spiegazione delle Scritture non bastano a convincere che lo scetticismo è ottusità, non realismo»: bisogna rompere il muro con la testimonianza personale e la presenza tangibile del Redentore. Mons. Delpini ricorda che «l’amicizia può diventare una condivisione della fede che rende appassionata la testimonianza e permette di rileggere l’itinerario percorso condividendo l’esperienza. L’ardore diventa più appassionato, se lo condividono gli amici; la partenza senza indugio è più convincente se si parte insieme; la testimonianza più credibile se non è individuale», e questo vale per ogni ambito dell’apostolato cattolico. Dopo i lunghi mesi dell’individualista “si salvi chi può” e della pastorale ridotta ai minimi termini, occorre recuperare quel senso di comunità che è stato tenacemente conservato nella celebrazione della Messa con il popolo, ma si traduce anche in una presenza pubblica del Cattolicesimo “organizzato” di fronte a tutta la cittadinanza. La vaccinazione e l’ulteriore allentamento delle restrizioni aiutano questa faticosa riconquista dello spazio sociale.
Luneì, 24 maggio 2021