L’arcivescovo descrive la Milano pandemica «operosa, generosa, triste» perché si dà molto da fare, ma ha smarrito il senso dell’esistere. Il compito della Chiesa è combattere soprattutto la crisi spirituale, ricostruendo Milano sul fondamento della Speranza teologale, che è Cristo
di Michele Brambilla
Il 29 luglio mons. Mario Delpini compie 70 anni tondi. Come scrive all’arcidiocesi il vicario generale, mons. Franco Agnesi, in una lettera, «se dovessi dire che “ricorda” il compleanno, risponderei di sì. La memoria è vivace, la data è scolpita sui documenti ufficiali, chi gli vuol bene gli chiede di tener libero almeno un momento del giorno 29 luglio e lui amabilmente lo fa. Se invece dovessi dire che “festeggia”, allora confesso che dovrei fare qualche distinzione. Di certo festeggia ricordando sua mamma e suo papà che lo hanno accolto, chiamato per nome e battezzato. Di certo non festeggia se deve organizzare ricevimenti e banchetti (infatti non lo farà)», preferendo convocare i coscritti in Duomo per l’Avvento, come ricorda l’arcivescovo stesso in un’intervista pubblicata proprio il 29 luglio.
Si tratta della consueta intervista di fine anno pastorale. Un anno pastorale, ricorda l’intervistatrice, Anna Maria Braccini, che non è stato meno tribolato di quello che lo ha preceduto. Secondo mons. Delpini l’arcidiocesi ambrosiana è comunque cresciuta nella carità, facendosi carico dei bisogni della gente, ma ha bisogno di unire la contemplazione all’azione. Riferendosi ai fatti più recenti, denuncia che «l’opinione pubblica guarda la Chiesa con una specie di prevenzione negativa, facile a dare enfasi solo alle cose negative e a ignorare tutto quello che si fa» di bene, ma si è nel quadro delle Beatitudini e non c’è incomprensione che non sia già stata sperimentata dal Redentore.
Manca proprio uno sguardo trascendente: Milano appare icasticamente una città «operosa, generosa, triste». La prima sfida è quindi l’emergenza spirituale, che non è «un passatempo di chi è fuori dalla mischia», ma il fatto che «questa società vive, lavora, si impegna, fa tante cose buone, ma non ha speranza, non guarda ad una Promessa affidabile che permette di orientare tutte le cose trovandone un senso».
Come riacquistare questo senso? Mons. Delpini è ottimista e ci sono segni che gli permettono di esserlo, ma indica anche una precisa profilassi: un recentrage della pastorale attorno alla «celebrazione della Pasqua nel suo distendersi negli altri tempi liturgici». La liturgia è il principio dal quale scaturisce ogni attività pastorale: «dalla Pasqua di Gesù nasce una Chiesa unita» al di là dei diversi carismi e delle differenti sensibilità, «una Chiesa libera, che è nel mondo, ma non del mondo». L’originalità della Chiesa può essere «schernita, ignorata, contrastata», ma non è una buona ragione per tacere la Verità. La Chiesa è poi «lieta» nelle fatiche: paragona, infatti, la storia umana e la stessa pastorale al parto di una donna che, dopo aver molto sofferto, gioisce per la nascita di un uomo nuovo.
Anche la Milano del 2021 è in travaglio: per l’arcivescovo i dolori di questo parto potranno essere leniti solamente se si ritrova la Speranza cristiana, perché non sarà più un interrogarsi a vuoto, un inseguimento del nulla o del benessere “di prima”, ma la ricostruzione di una società intera attorno a Cristo stesso. Come è stato per lo stesso arcivescovo, il quale, incalzato dalla giornalista, che gli chiede insistentemente un ricordo di gioventù, rievoca il momento in cui ha detto “si” alla chiamata del Signore attraverso il discernimento della Chiesa. Il sacerdozio è umile collaborazione al ministero del vescovo: «il mio sogno sarebbe che, una mattina, tutti ci svegliassimo e scoprissimo che dal vocabolario sono sparite tutte le parole delle lamentazioni». Il motto di ordinazione di mons. Delpini, che ricevette l’imposizione delle mani nel 1975 dal card. Giovanni Colombo, è proprio «uomini per la Speranza». Deve essere il motto anche del clero e del popolo ambrosiani nei prossimi anni.
Lunedì, 2 agosto 2021