Mons. Delpini visita due centri vaccinali e mette le basi spirituali per la ripartenza di settembre
di Michele Brambilla
Nei giorni più caldi della polemica no-vax, anche da parte di alcune frange molto minoritarie del mondo cattolico, mons. Mario Delpini si reca in ben due centri vaccinali. La mattina del 30 agosto, infatti, visita il centro allestito nell’oratorio vecchio della parrocchia S. Remigio di Vimodrone, mentre il 3 settembre entra in quello della comunità pastorale di Paderno Dugnano. A medici, volontari e forze dell’ordine dice chiaro e tondo che: «sono qui per dare una risposta alla domanda ‘Come è fatta l’umanità?’». L’arcivescovo non crede ai pessimisti o a chi fornisce una visione alterata della realtà: «questo centro racconta di come davanti alle sfide noi tutti siamo in grado di trovare soluzioni. Qui c’è il rimedio alla pandemia: non credo nel discredito, non lo condivido, perché ho visto cosa siete riusciti a creare».
Il senso della comunità, la solidarietà spontanea, cristianissima, delle genti lombarde di fronte ai pericoli sono le basi sulle quali ci si può fondare per la ricostruzione anche a livello ecclesiale. Con le vaccinazioni crescono, infatti, le possibilità di riprendere la pastorale ordinaria “a pieno regime”, come si è intravisto quest’estate negli oratori, e di andare a cercare anche coloro che, nel 2020, sono rimasti traumatizzati e si rifiutano caparbiamente di tornare alla vita di sempre: costoro, non avendo più da molto tempo nutrimento spirituale, vacillano anche sul piano dottrinale e morale.
La Lombardia ha ospitato dal 24 al 27 agosto a Cremona la Settimana liturgica nazionale 2021, durante la quale ci si è interrogati a fondo su questa tematica. Dal 30 agosto al 2 settembre anche l’arcidiocesi di Milano organizza una propria “settimana liturgica” nella Villa di Gazzada, dal sapore forse un po’ più tecnico (si concentra sulle nuove formule del Messale), alla quale interviene nella giornata conclusiva anche mons. Delpini con l’omelia della Messa per i convegnisti. L’arcivescovo paragona il celebrare dell’anno pastorale 2020/21 ai Maccabei, che dopo la guerra contro la Siria ellenistica poterono sacrificare a Dio nel Tempio di Gerusalemme, profanato dai pagani: «dopo tanto soffrire, dopo tante umiliazioni il Maccabeo e i suoi uomini possono celebrare la loro rivincita», ma oggi come allora prevalgono la rabbia e l’irrequietezza a causa della violazione patita, che offuscano il clima di festa che ci dovrebbe essere tra coloro che partecipano al Banchetto celeste. Le norme di sicurezza hanno imposto una preparazione ancora più accurata delle liturgie, rendendo l’attenzione ai particolari maniacale fino all’aridità. Con una brillante metafora, «si può anche pensare che i segni della festa richiedono tanto lavoro che esauriscono i sentimenti. La preparazione dello spettacolo impegna e interessa coloro che sono coinvolti al punto che lo spettacolo non interessa più. Una volta che tutto è pronto, gli altri potranno goderselo».
Bisogna allora riscoprire «la festa celebrata come salvezza. L’opera di Dio si compie nella festa del popolo che si raduna e si riconosce condotto attraverso le vicende drammatiche all’esperienza della liberazione e della salvezza. La festa che si celebra non è la commemorazione di un fatto del passato che con il tempo sbiadisce», ma anticipo di vita eterna per l’oggi. Perché continuare o ricominciare ad andare a Messa? Perché «la festa si celebra nella liturgia e trasfigura la vita, se è la festa per l’opera di Dio. In questo celebrare si compie la salvezza, non come una conclusione, ma come una divinizzazione che rende possibile vivere la storia secondo la volontà di Dio, nella sequela di Gesù».
Lunedì, 6 settembre 2021