La Messa di mons. Delpini a Caravaggio con i preti anziani e malati è l’emblema della «rivoluzione» cristiana «della tenerezza» pronosticata dallo stesso Papa Francesco in un importante messaggio ai vescovi lombardi
di Michele Brambilla
Il 16 settembre mons. Mario Delpini, dopo aver presieduto un’assemblea della Conferenza Episcopale Lombarda, celebra nella basilica del santuario di Caravaggio una Messa per i sacerdoti anziani e malati. La celebrazione riveste una particolare importanza perché si è in un momento in cui, in Italia, la “cultura dello scarto” dà fiato a tutte le sue trombe. Non stupisca, quindi, che lo stesso Papa Francesco senta l’esigenza di inviare uno specifico messaggio ai vescovi lombardi, nel quale, rivolgendosi ai loro sacerdoti, scrive: «state vivendo una stagione, la vecchiaia, che non è una malattia, ma un privilegio. Pensate a Simone e ad Anna: proprio quando sono anziani il Vangelo entra pienamente nella loro vita e, prendendo fra le braccia Gesù, annunciano a tutti la rivoluzione della tenerezza», quella per la quale nessuno è di peso e la vita rimane sacra in qualunque stadio della sua esistenza si trovi. «E anche chi di voi è malato», insiste il Santo Padre, «vive, possiamo dire, un privilegio: quello di assomigliare a Gesù che soffre e portare la croce proprio come Lui».
I toni dell’omelia di mons. Delpini sono i medesimi. Prende spunto dalla pagina evangelica della Visitazione per dire che «la vita di Maria diventa una vocazione di impensata e imprevedibile grandezza a cominciare dal saluto inquietante dell’angelo» che le annuncia che sarebbe diventata la madre del Messia. Molto spesso il sacerdote anziano, “in pensione”, si chiede come possa essere ancora utile alla Chiesa e alla comunità che ha amministrato per molti anni: la prima indicazione dell’arcivescovo è che «il saluto di Maria visita la casa di Elisabetta come uno stupore. Elisabetta è sorpresa, è stupita: “a che cosa devo che la Madre del mio Signore venga a me?”. Così un prete può avere la missione di “essere il saluto dello stupore”. Il saluto dello stupore è l’atteggiamento dell’umiltà di chi si fa servo, invece di pretendere di essere servito». Il prete anziano o infermo, quindi, testimonia il primato di Dio e quello spirito di servizio che dovrebbe animare il sacerdote giovane nel pieno del ministero. Non solo: negli “over 75” si possono leggere «la letizia, la beatitudine, la gioia del saluto di un uomo che crede nell’adempimento della parola del Signore e perciò, come Maria, è beato».
Il tempo del decadimento fisico, quindi, non è da leggere come una maledizione o una triste necessità, magari “accorciabile” a piacimento, ma paradossalmente (ed è proprio il paradosso cristiano) come il luogo del compimento, in cui emergono i veri valori della persona e culmina una vocazione a cui si è risposto con la baldanza e l’inconsapevolezza della gioventù: potremo osservare così «la gioia del saluto di un uomo che dà testimonianza di come sia bello e lieto essere dentro una comunità, costruire e gioire della fraternità. Come è bello che i fratelli siano insieme. La gioia del saluto di un uomo che accoglie le confidenze di Gesù, la rivelazione di Gesù e si sente dire: queste cose ti ho detto perché la mia gioia sia in te e la tua gioia sia piena».
Anziani e malati, insomma, non sono “spazzatura” da gettare al più presto in nome dell’efficienza, ma coloro che ci ricordano l’autentico significato dell’uomo e il suo destino ultraterreno.
Lunedì, 20 settembre 2021