Mons. Delpini, pellegrino nel santuario dei Pirenei assieme a molti ambrosiani, esorta a non vedere nell’handicap un limite che ci sconforta, ma a chiedersi sempre cosa si possa fare per gli altri, per la Chiesa e per Cristo
di Michele Brambilla
Dal 21 al 24 settembre mons. Mario Delpini si reca con un gran numero di fedeli ambrosiani a Lourdes, in ricordo dell’ultimo pellegrinaggio del beato card. Andrea Carlo Ferrari (1850-1921).
Importante specialmente l’omelia della Messa celebrata nella Grotta di Massabielle il 23 settembre. Mons. Delpini immagina un dialogo tra “malati”: «uno dice: “Sono vivo, mi vogliono bene, se ho bisogno c’è chi si prende cura di me. Sì, ma mi manca la salute! Se potessi andare e venire come quando ero giovane e sano, potessi correre come correvo, dormire come dormivo, respirare come respiravo!”». Sono i pensieri che tutti i malati e gli anziani si fanno, ma mai prima d’ora sono stati considerati il discrimine tra la vita e la morte! L’arcivescovo riporta anche i pensieri di coloro che vivono la solitudine o non riescono ad avere figli, che rappresentano un altro doloroso capitolo della nostra epoca.
Anche l’uomo di questo secolo, insomma, fa inevitabilmente i conti con la propria fragilità. Bisogna allora far balenare «la risposta di Gesù a chi vive nell’incompiuto, nel segno di quello che manca. Gesù ha una risposta per il notabile molto ricco e molto triste. Forse quindi anche per tutti coloro che sono segnati da quello che manca. Gesù rivela come si possa compiere l’incompiuto: “vieni con me! Seguimi!”». Solo in Cristo, l’Uomo perfetto che ha conosciuto il patire ed è risorto glorioso, troviamo il senso pieno della nostra esistenza. La vera malattia dei nostri contemporanei è la lontananza da Dio, ma Cristo «a tutti si offre per essere Lui il compimento, a tutti rivolge l’invito a stare con Lui», come durante la grande processione eucaristica. Gesù ci esorta: «“vivi, non solo per te stesso, ma per coloro che vivono con te e intorno a te. Vivi e abbi cura della missione della Chiesa. Il mondo ha bisogno di gente che si metta in viaggio, che si fa carico della speranza del mondo”». L’anima che non è introflessa scopre, prendendosi cura degli altri, che ogni vita ha valore, compresa la sua, con i suoi mille difetti. Come dice l’arcivescovo, «la cura per gli altri può dare al nostro incompiuto la giusta misura. Ricorda la parola del saggio: “mi lamentavo di non avere le scarpe, finché un giorno ho visto uno che non aveva i piedi”». Il saggio ha smesso di pensare alle sue disgrazie e ha aperto il suo cuore ai problemi degli altri, affrontando le sue stesse difficoltà con maggiore ottimismo. Oggi si sopporta poco la malattia e si acclamano i disabili solo quando vincono le Paralimpiadi, altrimenti si auspica che non sia più necessario il trasferimento in Svizzera…
Mons. Delpini propone una prospettiva completamente antitetica alla disperazione o al delirio di onnipotenza dell’uomo contemporaneo: «la cura per gli altri, la passione per la missione ci libera dall’ossessione di pensare a quello che ci manca per cominciare a pensare a quello che abbiamo e a come può servire, e possiamo servire, a preparare il regno di Dio che viene». Per dirla con sant’Agostino d’Ippona (354-430), «ama e fa ciò che vuoi» (In Io.Ep. tr. 7,8), perché nell’amore di Dio, che riconosciamo nei fratelli bisognosi, c’è la vera libertà.
Lunedì, 27 settembre 2021