I volontari alle porte delle chiese e i chierichetti sono l’emblema del servire con gioia che caratterizza la Chiesa. Sull’altare si impara a servire Cristo e a trasformare umilmente il mondo secondo il piano di Dio
di Michele Brambilla
Il 2 giugno mons. Mario Delpini raduna nel santuario di Rho tutti coloro che, in questi due anni di pandemia, hanno fatto parte dei “servizi d’ordine” incaricati di far rispettare il protocollo sanitario stipulato dalla CEI nel maggio 2020 per consentire la ripresa in sicurezza del culto pubblico.
«La prima parola, la più necessaria, è grazie. Sentiteci il grazie del Signore stesso», dice l’arcivescovo nell’omelia del S. Rosario meditato. I volontari hanno permesso a tutti di riaccostarsi ai Sacramenti in un momento difficile: «grazie per aver svolto il vostro servizio, tenendo sicure le chiese, evitando i contagi, essendo accoglienti, ma facendo tutto questo pregando». Non si difende, infatti, la libertà di culto senza essere per primi uomini di preghiera, che hanno desiderato e desiderano continuamente ricevere il Signore nell’Eucaristia. Inoltre, «l’esperienza fatta, l’incontro con tante persone, ci fanno capire che nel gesto semplice, ma ripetuto, che tiene insieme l’attenzione e il rispetto per tutti, possiamo imparare molto. Impariamo che, per quanto abbiamo tanti difetti, sappiamo fare un gran bene, anche solo con un piccolo segno, un sorriso, una parola» ristoratrice in un momento storico nel quale tanti si lasciano andare alla disperazione. Il volto sorridente del volontario è quindi il volto di qualcuno conquistato da Cristo, aprendo l’anima delle persone ad accogliere Colui che si cela sotto le Specie sacramentali.
Il 4 giugno avviene in Duomo a Milano il primo meeting diocesano dei chierichetti dopo la pandemia. Anche questa è un’occasione per ribadire che la liturgia non si segue passivamente, ma pretende dai fedeli un’actuosa partecipatio, per dirla con il Concilio Vaticano II. Certamente, sottolinea l’arcivescovo nell’omelia, servire l’altare significa essere una presenza attiva nella celebrazione. Il ministrante non si pavoneggia, ma sicuramente può fare d’esempio: sono tanti quelli che salgono i gradini del presbiterio perché preceduti da un amico che lo rende attraente. All’interno di questa dinamica, si fa strada, evidenzia mons. Delpini, una chiamata «che viene da Dio attraverso un desiderio piccolo. Attraverso questo desiderio, Gesù ispira un’impresa meravigliosa: “vi ho dato l’esempio, affinché come ho fatto io, facciate anche voi”». L’intreccio tra il servizio del chierichetto e gli albori della vocazione sacerdotale è stata più volte sottolineata anche sociologicamente, ma a ben vedere è la base anche di altri servizi nella Chiesa. Il ministrante che svolge il suo compito con impegno sarà un ottimo prete, un ottimo operatore Caritas o un ottimo catechista, perché si è abituato ad una certa etica del servizio.
«La veste è importante, ma non è solo un vestito: dichiara», infatti, «ciò che c’è dentro di me, nel mio cuore, nella mia attenzione. Una veste per dire a cosa si rivolge il mio sguardo»: verso Dio, criterio fondamentale di ogni scelta consapevole. «La grande impresa, il grande viaggio, si realizza perché qualcuno impara a camminare. Un piccolo servizio», quindi, «per imparare a servire Dio in ogni aspetto della vita», cambiando il mondo nel suo concreto. L’arcivescovo menziona la guerra in Ucraina: il disordine dei nostri tempi si combatte proprio a partire dagli altari delle nostre chiese parrocchiali, sui quali si celebra il Mistero che ha dato vita ad un ordine non solo soprannaturale, ma anche sociale.
Lunedì, 6 giugno 2022