Ogni persona che subisce violenza, ricorda l’arcivescovo, grida giustizia al cospetto di Dio. La mafia, come altre organizzazioni criminali, sarà vinta solo riacquisendo uno sguardo “verticale”, che non tema di riportare in gioco il Signore e il suo Vangelo
di Michele Brambilla
Il 5 luglio si raduna a Milano una manifestazione nazionale contro le mafie, indetta da 150 associazioni (alcune cattoliche, come l’Azione Cattolica, le ACLI, gli Scout AGESCI, il CSI di Milano, la Caritas e la FOM, ovvero l’arcidiocesi ambrosiana nella sua cornice “istituzionale”) in solidarietà al procuratore antimafia Nicola Gratteri, oggetto di particolari intimidazioni. Il corteo si conclude ai piedi di un palco allestito davanti alla Stazione Centrale. Anche i vescovi italiani partecipano: mons. Mario Delpini manda un videomessaggio e si legge quello del card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, da poche settimane a capo della CEI.
L’arcivescovo di Milano ammonisce che «nessuno deve sentirsi solo: tutti noi vogliamo sentirci solidali con coloro che contrastano l’illegalità e la malavita organizzata», perché «la malavita organizzata ricorre alla violenza, ma ogni violento è un uomo malato che, facendo opere di intimidazione e di cattiveria, finisce per rovinare, oltre che gli altri, anche se stesso».
Molto spesso i discorsi che i cattolici pronunciano nel corso di manifestazioni di questo genere non si discostano di molto da quelli, magari politicamente connotati, delle associazioni laiche, perdendo quello che è lo specifico dello sguardo cristiano sul mondo. Mons. Delpini, entrando in interiore homine, prepara il terreno alla pronuncia di quel Nome che, molto spesso, latita in queste occasioni: «ogni vittima della violenza è una vittima che grida al cospetto di Dio, chiedendo giustizia» al giusto Giudice come leggiamo nei Salmi. L’impegno dei cattolici contro la mafia deve partire dal riconoscimento della figliolanza divina di tutti gli uomini, ovvero da «una conversione morale e una fortezza interiore», intendendo con “fortezza” la virtù cardinale.
Anche il card. Zuppi mantiene questo sguardo verticale sulle vicende umane: «il monito di san Giovanni Paolo II ad Agrigento invita non solo i mafiosi a temere il giudizio di Dio, ma tutti noi a schierarci senza incertezze dalla parte della giustizia, dell’onestà, del bene comune», perché il peccato sociale sorge, insegnava il santo Papa polacco, da un’antropologia sbagliata che rifiuta il progetto divino sull’uomo e sul mondo.
Non a caso Luciano Gualzetti, presidente della Caritas Ambrosiana, allarga lo sguardo a tutti i fenomeni che favoriscono il circolo vizioso della mafia sullo stesso territorio milanese. «Siamo qui per fare la nostra parte», infatti, «come la deve fare ognuno attraverso stili di vita corretti», tenendo conto del fatto che «alla San Bernardino», lo sportello diocesano contro lo strozzinaggio, «arrivano tra le 300 e le 350 situazioni di sovraindebitamento all’anno. Ma quasi nessuno denuncia gli usurai. Per vincere le mafie non dobbiamo lasciare sole le vittime e saper organizzare il bene», che deve essere più forte e soprattutto più appetibile delle scorciatoie del male.
Per fare questo, però, non basta stringersi in una mera solidarietà orizzontale, ma bisogna davvero rimettere al centro il Dio cristiano, l’antropologia del Vangelo, come insegnano autorevolmente i nostri vescovi.
Lunedì, 11 luglio 2022