La bravata di un viceparroco al mare evidenzia le motivazioni che spingono mons. Delpini ad incentrare il prossimo anno pastorale sulla preghiera
di Michele Brambilla
La Messa celebrata da don Mattia Bernasconi, viceparroco della parrocchia di S. Luigi Gonzaga a Milano, su un materassino gonfiabile, mentre guidava un campo-scuola in Calabria, ha fatto rapidamente il giro del web ed è stata giustamente condannata da un comunicato della diocesi di Crotone. L’arcidiocesi di Milano fa suo il comunicato calabrese e lo ripubblica come monito sia per don Bernasconi che per gli altri preti diocesani.
L’episodio, decisamente spiacevole, mette in evidenza il problematico rapporto con la preghiera che si registra da diverso tempo negli oratori e all’interno dello stesso clero ambrosiano, specie tra i preti freschi di ordinazione. Anche i sacerdoti devono di nuovo imparare a pregare e a trasmettere ai fedeli una vita di preghiera, ripartendo dai fondamentali.
Era già in corso di stampa uno dei Quaderni della Formazione permanente del clero, intitolato significativamente Pregate sempre. La vita di preghiera nel ministero ordinato. Il responsabile dell’ufficio per la formazione permanente, don Ivano Valagussa, scrive ai decani perché si premurino di segnalare la pubblicazione al proprio presbiterio locale e nell’introduzione del libretto ammonisce: «“Abbiamo bisogno di pregare”. Più volte l’arcivescovo Mario Delpini ripete questa espressione» per sottolineare la centralità che occorre ridare al culto celebrato secondo le sue regole. «È necessaria la preghiera oggi per essere Chiesa che non si chiude in se stessa, ma si apre all’azione dello Spirito. Una Chiesa che prega insieme per una nuova Pentecoste, per ricevere il dono dello Spirito ed essere docile e umile al Signore nell’ascolto, nel discernimento e nelle scelte da operare», che anche nelle parrocchie sono prese sempre più spesso inseguendo criteri molto superficiali.
Ci si educa a pregare fin da piccoli. Tocca a Mario Pischetola, a nome della Fondazione Oratori Milanesi, introdurre il logo che accompagnerà l’anno catechistico 2022/23: «un’educatrice e un ragazzo sono una di fronte all’altro, in atteggiamento di preghiera. Le loro mani si congiungono come se la loro preghiera fosse la stessa, proprio “perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20). Sono sotto un grande albero, a sostare su un prato. Il bianco luminoso – quello della Trasfigurazione (cfr. Mc 9,3) – li avvolge: la sosta è abitata e illuminata dalla presenza dello Spirito, perché anche se “non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente” è lo Spirito che intercede per noi e in noi (cfr. Rm 8,26)». I bambini non sentono più pregare nelle loro case, e neanche molti educatori lo fanno con regolarità, ma «l’oratorio è per definizione il luogo in cui si insegna e si impara a pregare, in vista di una crescita personale e di una maturazione nella fede: da sempre in oratorio ci sono tempi e spazi di preghiera», persino all’inizio degli incontri informali, ricorda lo stesso direttore della FOM, don Stefano Guidi.
Non è una questione di quantità, ma di qualità: tanti si allontanano dalla preghiera perché negli stessi oratori si prega male e malvolentieri, come evidenziato dallo scandalo crotonese. Nel mondo postmoderno è vitale, invece, rimettere al centro il rapporto con Gesù, che è il fondamento autentico non solo di ogni apostolato, ma anche di una civiltà che voglia ancora definirsi tale.
Lunedì, primo agosto 2022