Mons. Delpini guida personalmente il pellegrinaggio di alcuni fedeli ambrosiani a Fatima, dove dice parole molto importanti per interpretare la proposta pastorale di quest’anno
di Michele Brambilla
Dal 4 al 6 settembre si svolge un pellegrinaggio diocesano al santuario di Fatima. A capo della comitiva lo stesso arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, che tra una celebrazione e l’altra inserisce un momento di dialogo con i partecipanti, sacerdoti e laici, a cui chiede: «noi cristiani abbiamo qualcosa da dire a questo nostro tempo, al luogo in cui abitiamo e alle nostre comunità? Io – confida monsignor Delpini – ho pensato a questo nel momento in cui ho scritto la mia Proposta pastorale, interpretando il tempo in cui viviamo e chiedendomi se esista qualcosa che illumina, quella luce che pare mancare oggi alla nostra società», perché «sono persuaso che ciò di cui questa società ha bisogno si può esprimere con una chiarezza provocatoria e che trova, oggi una reazione di indifferenza: questa società ha bisogno di Gesù Cristo, di una relazione con Dio» autentica e vivificante, in un momento in cui la disperazione interiore si “taglia a fette”.
La proposta pastorale per l’anno 2022/23 è incentrata sulla preghiera e, per mons. Delpini, «la concentrazione sul Mistero che salva, svelando la speranza affidabile, non significa chiudersi nelle chiese, ma accendere un fuoco. Per questo dobbiamo vivere la liturgia non come qualcosa per addetti ai lavori che non può interessare molti, ma come un avvicinarsi a una sorta di roveto ardente» che, come quello biblico, chiama ciascuno ad una missione particolare.
Il tema della missionari età riecheggia più volte nelle omelie dell’arcivescovo. Parlando dei tre piccoli veggenti (Francisco, Giacinta e Lucia) durante la Messa presso il luogo dell’apparizione, mons. Delpini osserva che «Maria ha affidato a tre bambini il compito improbabile di essere messaggeri di una svolta nella storia dell’umanità, della pace invece che della guerra, della conversione invece dell’inerzia». La critica al mondo post-moderno, nell’omelia della Via Crucis, è impietosa: «la situazione internazionale è complicata, il mondo è tribolato per la guerra, quella che ci angoscia di più e che ci tocca più da vicino in Ucraina, ma sembra ovunque in una condizione di stallo – sottolinea infatti l’Arcivescovo, con una denuncia chiarissima -. Ai regimi dittatoriali e ideologici, che si sono imposti in alcuni Paesi, non sembra possibile porre rimedio, cercare un’evoluzione verso la giustizia, la democrazia, la pace. E anche i comportamenti personali paiono segnati da un male che accetta i comportamenti immorali come una situazione irrimediabile, anzi, talvolta come un oggetto d’interesse, di passione, di divertimento».
«Questo luogo in cui Maria si è rivolta a persone così modeste, così insignificanti, a dei bambini, è il luogo», ricorda l’arcivescovo, «in cui ha invitato a prendere coscienza della serietà del male, della guerra, del peccato. Ha chiesto loro non di compiere qualche straordinaria impresa politica o sociale, ma di invitare la gente a pregare e di costruire un luogo per farlo». La piccola cappella originaria si è trasformata nell’enorme santuario internazionale di oggi e il messaggio delle apparizioni ha segnato la storia civile ed ecclesiale del secolo. La Madonna di Fatima ci insegna, quindi, a non scoraggiarci per il poco che riusciamo a fare, perché sarà il Signore a trasformarlo nel lievito che farà fermentare tutta la pasta. Da una liturgia celebrata dignitosamente e soprattutto con fede nascerà un movimento che condurrà anche la società a ritrovare il suo ordine.
Lunedì, 12 settembre 2022