Per l’arcivescovo la nostra società ha molti talenti che potrebbe spendere bene, ma deve rimettere al centro la persona. E la persona riscoprirsi amata da Dio e investita di una specifica vocazione
di Michele Brambilla
il 5 ottobre mons. Mario Delpini partecipa ad una tavola rotonda alla Bicocca. Il tema, molto impegnativo, è «Chiamati a sostenere il mondo». Un titolo dal sapore un po’ prometeico: il mondo è davvero in mano agli uomini? L’arcivescovo ritiene che «la società in cui viviamo, anzitutto, mi pare potente, perché può fare molto e ha mezzi inediti nella storia dell’umanità. Un aspetto che, forse, è meno evidente è che è anche una società sapiente, con un accumulo di conoscenze e competenze, di letteratura che è zittito un poco dallo strapotere della tecnologia». Il patrimonio culturale, infatti, rimane a disposizione di tutti e occorre trovare un modo per trasmetterlo con il linguaggio odierno.
«Terzo, è una società complessa, a cui aggiungerei un ultimo aggettivo: è una società disperata perché, pur avendo molte potenzialità, non sa dove va», e questo è poco evidenziato nelle analisi contemporanee. Anche le letture più ideologiche che vengono offerte dai pensatori contemporanei sono convinte, in fondo, che basti aggiustare “qualcosa”, come se l’uomo e la società fossero delle macchine e il male fosse qualcosa di estrinseco, per costruire automaticamente un mondo migliore.
Nella mentalità contemporanea si riscontra, quindi, una letture unilaterale dell’uomo, che ne sacrifica la libertà e pretende di manipolare la sua natura, realizzando un surrogato di redenzione intramondano. Pertanto, l’arcivescovo specifica che «il tema è quello di un umanesimo europeo, di cui siamo insieme fieri e critici, che può essere arricchito e rigenerato anche dal confronto con altre culture e che contiene tre capitoli. Il primo è il concetto di persona, del suo valore: l’idea che l’uomo e la donna sono persone con diritti e doveri da rispettare è un tratto irrinunciabile e promettente».
Bisogna completare il quadro aggiungendo che «non si viene al mondo per un caso e la vita ha un senso perché è una chiamata» da parte di Dio a realizzare una missione. L’autodeterminazione assoluta è un mito, non solo perché nasciamo all’interno di un tessuto sociale che ci pre-determina inevitabilmente, ma anche perché il mistero dell’uomo è incomprimibile. «Il fatto di essere eredi di un patrimonio ideale e materiale implica vivere non solo per se stessi, ma anche mettere a frutto i talenti per il bene comune», un bene non deterministicamente stabilito da chi detiene il potere economico-politico, ma consegnato alla responsabilità e alle doti di ciascuno.
Il recupero della dimensione comunitaria, senza ledere la sacralità della persona, è necessario al giorno d’oggi «perché il diffondersi di quello che si può chiamare l’individualismo ha portato a una rivoluzione nel concetto di individuo, privilegiando più la realizzazione che la responsabilità, senza perciò riconoscere una distinzione definita tra bene e male, perché è il singolo che decide per sé ciò che è buono e ciò che non lo è». A chi chiede a mons. Delpini cosa faccia la Chiesa per l’ambiente, l’arcivescovo risponde che «il “proprio” della Chiesa è la centralità della persona, anche in questo caso», mentre oggi l’ambientalismo ha un’impostazione antiumana. Il peccato dell’uomo ha certamente danneggiato l’ambiente circostante, ma l’uomo redento da Cristo rimane la soluzione.
Lunedì, 10 ottobre 2022