Dall’altare del Cimitero Monumentale l’arcivescovo attacca frontalmente la “cultura della morte”
di Michele Brambilla
Enzo Peserico (1959-2008), da lassù, avrà certamente sorriso. Mons. Mario Delpini sceglie la Messa al Cimitero Monumentale, dove il nostro militante è sepolto, per scagliare, nel pomeriggio del 1 novembre, un attacco frontale alla “cultura di morte” che permea la società postmoderna. E lo fa all’interno del Famedio, luogo in cui sono sepolti i milanesi illustri, dei quali gran parte appartenenti all’epoca risorgimentale, ovvero quell’Ottocento in cui la Modernità ideologica entrò in Italia e preparò, escludendo la religione dal discorso pubblico, le premesse culturali per lo sfacelo morale constatabile ai nostri giorni, lungo la linea del pensiero rivoluzionario.
Mons. Delpini nell’omelia comincia subito in salita: denuncia che in giro «c’è troppa morte sbagliata: gli uomini si impegnano troppo per seminare la morte in guerra, la morte per le violenze che si consumano in casa o, per pazzia, nei luoghi della vita quotidiana. La morte stupida di chi si mette nei pericoli e quella assurda di chi si accalca per una festa». Sono tutti riferimenti alla cronaca di questi giorni, dagli accoltellamenti di Assago, opera di uno squilibrato italiano, alla terribile dinamica della tragedia di Seul, dove centinaia di giovani hanno trovato la morte nel corso di una festa di Halloween nei vicoli stretti del centro città.
L’arcivescovo, però, cerca di andare in profondità: queste cose accadono «perché si considera insopportabile la vita, magari giovane, derubata delle promesse, in cui è stata proibita la speranza. C’è troppa morte che spegne la vita prima che venga alla luce, con il dramma tremendo dell’aborto», ma nelle domande allude anche al fronte del “fine vita”: «che sta succedendo all’umanità del nostro tempo? Ha forse stretto alleanza con le forze nemiche della vita? Ha forse perso la voglia di vivere e di desiderare che continui la vita buona? Forse una specie di inedita follia si diffonde come una epidemia, come una incontenibile violenza, come una stanchezza estenuante» che induce a cercare scorciatoie mortifere per sé e per il prossimo.
La morte, però, non è l’orizzonte totale, annichilente dell’essere. Mons. Delpini sfida i cattolici a riprendere in mano il discorso pubblico e a dire con chiarezza parole di vita eterna, dato che «noi celebriamo l’Eucaristia, cioè la morte sbagliata di Gesù, che subisce la morte violenta e ingiusta rendendoci partecipi della rivelazione e della sua vittoria, per arrivare alla verità secondo la volontà del Padre che tutti siano salvati». La Pasqua è un fatto storico, non un’opinione, e inaugura per tutti una nuova antropologia, in cui ogni vita ha la sua intangibile dignità, in ogni momento, ed è destinata alla gloria celeste, se costruisce e non distrugge, se custodisce e non uccide, se accumula buone opere anziché beni materiali, goduti in maniera individualistica, se pensa di non essersi “fatta da sé”, ma si riconosce umilmente una creatura, senza pretendere di stravolgere la legge naturale.
Bisogna allora essere testimoni «della sapienza della croce che può arginare e guarire la follia che preferisce la morte alla vita, che impegna tante risorse per far morire invece che per aiutare a vivere» e costruisce alleanze “civiche” «per dire che vivere è una grazia, una responsabilità, una missione».
Lunedì, 7 novembre 2022