L’arcivescovo compone un “trittico” nel quale indica diverse prospettive interessanti per il futuro della pastorale diocesana
di Michele Brambilla
«Il cattolicesimo di massa non coincide con il cattolicesimo popolare, che è la forma di Chiesa che lavora per tutti anche se non è di tutti. Siamo immersi nella secolarizzazione, ma la nostra responsabilità è proporre una forma ecclesiale che possa essere per tutti, e questo non dipende da quanti siamo o dal numero delle strutture. Dobbiamo, forse, rivedere come abitare alcuni ambienti, ma l’elemento stabile è il “per tutti”», l’universalità della missione ecclesiale, come spiega don Mattia Colombo, docente di Teologia pastorale nel Seminario Arcivescovile di Milano, ad un convegno, «Essere Chiesa in periferia», a cui partecipa lo stesso mons. Mario Delpini, il quale teme «l’ingenuità della buona volontà, o lo slancio arbitrario che può rischiare di essere un fuoco di paglia». Come detto spesso dallo stesso arcivescovo, l’organizzazione non è tutto, ma la pastorale non si improvvisa. «L’attenzione della Chiesa è perché risplenda, nell’umanità, la gloria di Dio. Tutto l’umano è immagine di Dio e, quindi, portare le persone a rendersi conto della loro dignità e bellezza, e ciò che la Chiesa è chiamata a fare perché ne venga l’uomo nuovo. Ciò che salva una giovinezza, che motiva un adolescente a uscire dalla condizione di stallo e di dipendenza, è il tema della vocazione, la persuasione di essere chiamati a una vita che merita di essere vissuta», insiste.
Scrivendo una lettera ai giovani dell’arcidiocesi in vista della Giornata mondiale della gioventù di Lisbona (2023), ricorda che per tutti «c’è una annunciazione, una promessa, una meta» da scoprire nella preghiera e con l’aiuto di figure di riferimento. Lo stesso invito del Papa a raggiungere Lisbona è letto dall’arcivescovo come un invito a cui rispondere in prima persona, infatti dichiara che «io ci andrò».
«I giovani in cammino verso Lisbona rispondono all’annuncio che li persuade di avere la grazia di generare il futuro della Chiesa in Europa. Senza ingenuità, con fierezza», ribadisce mons. Delpini. E nei giorni in cui Papa Francesco dialoga con i musulmani in Bahrein, l’arcivescovo ambrosiano è relatore al Forum nazionale delle donne ebree d’Italia, tenutosi a Palazzo Marino il 10 novembre. Nella prolusione «vorrei ribadire un’intenzione di fraternità, collaborazione, stima vicendevole che desidero esprimere come rappresentante della Chiesa cattolica ambrosiana. Qui nessuno accoglie un altro, perché tutti siamo stati accolti da una terra generosa a cui ciascuno dà il suo contributo», dice pensando a Milano, “Mediolanum”, ovvero “al centro”, “punto di incontro”. Ricorda i lunghi trascorsi dell’arcidiocesi nel dialogo ebraico-cristiano, in particolare il card. Carlo Maria Martini: «io sono un erede che non ha la sua competenza per quanto riguarda il mondo ebraico, ma vorrei ribadire il mio apprezzamento per quello che rappresentate». Parlando a donne ebree, non può non rammentare che «sulla guglia più alta del Duomo c’è la statua di una donna ebrea, Maria, la Madonnina, punto di riferimento per noi milanesi, a cui tutti si guarda perché sentiamo che c’è un invito a rivolgere lo sguardo in alto e un affidamento alla protezione dell’Altissimo. Questa donna ebrea, che è così importante per la storia cristiana, ci incoraggia a vedere il collegamento profondo con una storia che è stata storia dell’umanità» e, cosa ancora più importante, storia della Salvezza.
Lunedì, 14 novembre 2022