Gli Esercizi spirituali d’Avvento e le strade dell’umanità postmoderna, che anelano a Cristo Risorto, l’unica vera risposta alla “cultura della morte” nella quale siamo immersi
di Michele Brambilla
«In quale deserto ti sei perduto, fratello, sorella? Dove stai andando?», chiede mons. Mario Delpini all’inizio della meditazione offerta, nel santuario di Rho, a moltissimi giovani, all’inizio degli Esercizi spirituali diocesani di Avvento (14-16 novembre). L’arcivescovo prende in esame il brano di Genesi sulla cacciata di Agar, madre di Ismaele, dopo che finalmente Sara aveva dato origine al figlio annunciato da Dio, Isacco, e ricorda che la schiava prediletta di Abramo aveva cominciato a fare dei progetti ambiziosi. «Allora tutta la presunzione e la voglia di potere di Agar, quando era stata privilegiata», furono travolte dal risentimento di Sara, memore di quando la schiava la derideva dopo la nascita di Ismaele. La schiava fu scacciata assieme al figlio che aveva avuto da Abramo e si perse nel deserto.
La vicenda della Genesi spinge mons. Delpini a chiedere ai fedeli quale sia il loro “smarrimento”. «Forse si chiama “solitudine”, questo senso di desolazione che è il non sentirsi abbastanza capito o amato»: sono i sentimenti di tanti ragazzi di oggi, privati di valori solidi e abbandonati a loro stessi, sotto la continua pressione della cultura postmoderna, intrinsecamente narcisistica. «Da che parte devo andare, qual è la scelta giusta? Forse qualcuno di voi è in un momento decisivo della vita» perché si deve scegliere l’università o la propria condizione di vita: il rischio diventa a questo punto la delusione.
«Forse il deserto si chiama “spavento”, perché c’è qualcosa di drammatico che sta succedendo» in famiglia, senza contare i problemi “esterni” (la guerra, la crisi…). «Forse il deserto si chiama impotenza», perché abbiamo davanti molte soluzioni, ma non ci sentiamo in grado di seguirne alcuna. I momenti di smarrimento capitano a tutti, ma nello smarrimento di Agar c’è qualcosa che riguarda tutti: le sue lacrime, il suo strazio per il destino del figlio, che sembra segnato, sono quelle di ogni uomo e di ogni donna.
«Agar ritiene che sia intollerabile la morte del figlio», come lo è ogni morte, ma il pensiero a noi contemporaneo si rassegna alla morte. «In questa tragedia, dunque, si rivela ciò che il pensiero contemporaneo cerca di dimenticare in tante forme. Il pensiero contemporaneo dice che non è sostenibile, sopportabile, preferisce la confusione, in cui “tutto capita” e tutto passa. Frequentano» troppo, gli uomini contemporanei, il mondo virtuale, che è come anestetizzato: nei videogiochi uccido 100.000 nemici e poi torno da capo, ma nella vita non è così. «E’ come se il morire fosse un gioco, una scena! Tanti fattori della cultura contemporanea spingono a banalizzare la morte. Invece Agar piange, noi tutti piangiamo, quando muore una persona cara», osserva mons. Delpini.
Faremmo meglio ad indagare in profondità questo sentimento, perché «rivela che siamo fatti per la vita, non per la morte», la quale è una cosa seria, talmente seria che non dovrebbe esistere. Riemerge, quindi, il bisogno di un Salvatore, che è Cristo Signore. Il mondo postmoderno cerca Lui, il Risorto, l’unico vero orizzonte pieno di senso.
Lunedì, 21 novembre 2022