In una Milano tecnocratica, che corre e insegue gli idoli di questo mondo, bisogna rimettere al centro gli umili, specie quelli che non finiscono mai sui giornali: bambini, famiglie giovani, anziani “murati” nelle periferie
di Michele Brambilla
Il titolo del Discorso alla città 2022, pronunciato come sempre il 6 dicembre, durante i Primi Vesperi della solennità di S. Ambrogio, nella basilica del santo patrono di Milano, si intitola ufficialmente «E gli altri?», chiedendosi se questi “altri” lanceranno un grido o intoneranno un cantico.
Come ricorda lo stesso mons. Mario Delpini, il discorso di S. Ambrogio è un momento istituzionale, tuttavia confida che «con il passare degli anni trovo sempre più insopportabile il malumore. Trovo irragionevole il lamento. Trovo irrespirabile l’aria inquinata di frenesia e di aggressività, di suscettibilità e risentimento» di questo tempo, che denuncia problemi veri o immaginari, ma non trova uno straccio di soluzione plausibile. Allora «Milano e la gente che abita in questo territorio non si stupirà se metto nel titolo di questo discorso un punto di domanda: perché voglio fare l’elogio dell’inquietudine», un’inquietudine del tutto sana «che bussa alle porte della paura», indotta da un sistema mediatico “drogato”, ideologicamente orientato, emanazione di potentati che hanno espulso Dio dal consesso pubblico e pretendono di governare il mondo con l’individualismo più radicale.
«Voglio fare l’elogio dell’inquietudine che bussa alle porte dei sogni che la città coltiva e realizza, la città che corre, la città che riqualifica quartieri e palazzi, la città che fa spazio all’innovazione e all’eccellenza, la città che seduce i turisti e gli uomini d’affari, la città che demolisce le case popolari e costruisce appartamenti a prezzi inaccessibili» escludendo le famiglie giovani e gli anziani dei quartieri popolari, che sono ancora il vero motore della società civile cittadina, ignorati perché le loro esigenze non fanno notizia e contrastano molte “narrazioni” con le quali le élites sono abituate a cullarsi.
La famiglia è la grande assente dal panorama mentale di chi governa. «Voglio fare l’elogio dell’inquietudine che bussa alle porte dei centri di ricerca dedicati all’organizzazione del lavoro che controlla la produttività e ignora gli orari della famiglia, che controlla l’ottimizzazione delle risorse e ignora la qualità di vita delle persone, che prepara strumenti per valutare la sostenibilità ambientale e ritiene secondaria la sostenibilità sociale»: come non vedervi un appoggio indiretto alle mille petizioni che, da ogni angolo della periferia e dell’hinterland, cominciano ad essere indirizzate a Palazzo Marino affinché sia rivista l’impostazione utopistica dell’Area B, che penalizza soprattutto i pendolari meno abbienti? «Come si può giustificare un sistema di vita che pretende il proprio benessere a spese delle risorse altrui? Come si può immaginare una civiltà che si chiude e muore e lascia morire popoli pieni di vita», in primis gli stessi popoli europei? Ritorna, ancora una volta, la fortissima preoccupazione dell’arcivescovo per la crisi demografica, causata da una precisa impostazione culturale.
Mons. Delpini precisa che «l’inquietudine non è un’inclinazione depressiva che può paralizzare il pensiero e l’azione nell’incertezza e nello scontento. È piuttosto un rimedio per contrastare la soddisfazione narcisista che si assesta in un egocentrismo rovinoso». La sana inquietudine va a braccetto con la Speranza, dato che «la speranza non è un’ingenuità consolatoria, è piuttosto la risposta alla promessa che chiama a desiderare la vita, la vita buona, la vita nella pace, la vita dono di Dio. La gente seria pratica la speranza e accoglie la promessa perché è consapevole del proprio limite radicale, dell’impossibilità dell’autosufficienza», che non si da in natura, pertanto «voglio perciò fare l’elogio del realismo della speranza che risponde all’annuncio di una promessa. Opera, infatti, nella storia la provvidenza di Dio che è promessa di vita, di vita buona, di vita eterna. La speranza non si costruisce sulle proiezioni delle statistiche, sulle previsioni degli intellettuali, sulle ideologie. C’è una parola affidabile che rivela che la vita è promettente, che non siamo destinati al nulla, che non siamo una presenza insensata in un universo insensato, ma siamo persone uniche, con una originalità irripetibile, con una vocazione che ci autorizza ad avere stima di noi stessi e ci chiama a mettere a frutto i talenti ricevuti per il bene di tutti».
Martedì, 13 dicembre 2022