Mons. Mario Delpini chiede per Natale che i fedeli ambrosiani riscoprano la gioia del vivere insieme
di Michele Brambilla
I sacerdoti ambrosiani che stanno percorrendo le vie delle loro parrocchie in occasione delle benedizioni natalizie consegnano ai fedeli una lettera, scritta da mons. Mario Delpini. Si intitola Un sorriso per Natale e spiega il profondo significato di questo gesto tradizionale. «Bussare, suonare e regalare un sorriso. Raccogliere confidenze, racconti di storie dolorose, di amarezze inguaribili, e regalare un sorriso», ma anche «ascoltare motivi di gratitudine, di letizia profonda, di affetti intensi fissati nelle immagini di una famiglia, di amicizie, di avventura, e regalare un sorriso». Nata in età tridentina sostanzialmente per aggiornare l’anagrafe parrocchiale delle “anime da comunione”, ovvero l’elenco di coloro che avevano raggiunto l’età opportuna per ricevere i Sacramenti, la benedizione delle case riassume molti aspetti essenziali del “lavoro nascosto”, profondo, del pastore verso il suo gregge, come dice lo stesso mons. Delpini: «la visita alle famiglie per gli auguri di Natale è uno dei gesti di vicinanza semplici e gratuiti che fanno percepire il senso della presenza capillare della Chiesa, della comunità cristiana nel nostro territorio». Per di più «è una forma di missione che vorrei raccomandare a ogni comunità locale», coinvolgendo anche il laicato soprattutto nella preparazione remota del “buon vicinato”. Non sono poche le parrocchie in cui il sacerdote è accompagnato da diaconi, consacrati, seminaristi o giovani locali, fornendo a chi apre la porte un’istantanea “panoramica” della comunità cattolica. Infatti «la benedizione di Dio che invochiamo per ogni famiglia, per ogni persona, per ogni casa e anche per chi non ha casa si può pensare così: è il sorriso di Dio che prova simpatia per ciascuno di noi, per ogni storia», chiamata ad essere abitata e sostenuta nel cammino dallo Spirito Santo.
Pensando proprio alle enormi sacche di solitudine che la società contemporanea consegna alle statistiche nazionali, «io sono che nessuno sia solo per il pranzo di Natale. So che per molte famiglie è l’occasione di ritrovarsi e condividere ore serene e pensose, scambi di doni, scherzi di bambini, giochi di società “per tirar sera”, specialità gastronomiche», ma l’arcivescovo conosce anche le famiglie separate o condizionate da altre situazioni di degrado o dolore, per non parlare di coloro che vengono effettivamente lasciati soli anche durante le festività. Allora «ecco: io sogno che per tutti ci sia un invito. Ringrazio parrocchie e associazioni, movimenti e fondazioni che ogni anno organizzano il pranzo di Natale per chi è solo o si trova straniero in città o non ha casa né famiglia», ma non deve mancare l’apporto che ciascun fedele può dare nel suo piccolo. «Ringrazio soprattutto», quindi, «chi trova il modo di fare del pranzo un momento di comunità che non si limita a condividere quello che è offerto con generosità, ma alimenta rapporti, amicizie, familiarità che creano un senso di appartenenza».
Proprio quello che occorre recuperare per superare l’individualismo contemporaneo e costruire una civiltà davvero a misura d’uomo e secondo il piano di Dio, dato che «l’invito che libera dalla solitudine diventa più naturale quando si medita il mistero di Gesù, il Figlio di Dio che si è inserito in un frammento di storia per seminarvi per sempre l’esortazione alla fraternità e il comandamento dell’amore». L’arcivescovo ricorda che «la presenza di Gesù risorto e vivo nella Chiesa e nella storia è come una luce che indica il cammino; è come una tenerezza che rende sostenibile la fatica; è come un’amicizia che alimenta la gioia. E infatti la forma tradizionale del presepe colloca la scena della Natività in un punto e tutto il mondo, i mestieri, le stelle, gli sguardi si orientano verso quel punto».
Lunedì, 19 dicembre 2022