Il discepolo di Cristo è sempre lieto perché la fonte della sua gioia è lo stesso Gesù
di Michele Brambilla
Il 20 dicembre muore mons. Luigi Stucchi, nativo di Sulbiate, nella Zona pastorale II (la stessa da lui amministrata per anni), vescovo ausiliare di Milano e a lungo responsabile degli Uffici riguardanti l’educazione e la vita consacrata nella nostra diocesi. La camera ardente è allestita a Tradate, di cui fu parroco dal 1986 al 2003, mentre le esequie sono celebrate in Duomo il 23 dicembre da mons. Mario Delpini.
Nell’omelia del funerale mons. Delpini ripete che «nel dramma della passione, nello strazio dell’ultimo grido, nello spettacolo desolante di un’umanità meschina che discute di privilegi e di primi posti, ecco un cantico. Forse alla sapienza del mondo, forse allo scetticismo della cultura depressa del nostro tempo può sembrare paradossale che alle lacrime si mescolino parole di lode e di benedizione. Ma il discepolo innalza il suo cantico».
Incoscienza? In realtà, «tutti i giorni dall’infanzia alla vecchiaia, il discepolo attinge a una riserva inesauribile di grazia i motivi della sua felicità», lo stesso Signore, che contempliamo proprio in questi giorni Bambino. Si, «il discepolo segue il Signore, il buon pastore. Il cammino talora si perde nella confusione. Ci sono momenti in cui la vita sembra un enigma insolubile, ma il discepolo non si appropria della presunzione del protagonismo, piuttosto pratica la docilità della sequela» di quel Dio che si fa uomo per riportare l’uomo alla sua origine.
L’arcivescovo puntualizza che «il discepolo segue il maestro, anche quando il Maestro lo invia. Non diventa mai maestro, sempre discepolo. E ogni giorno porta a compimento la missione affidata: la missione di dare pace, di offrire il perdono di Dio, di aiutare i fratelli e le sorelle a seguire il buon Pastore che chiama. Il discepolo diventa interlocutore di altri discepoli, si fa carico del loro cammino, rianima le loro stanchezze, orienta le loro scelte. È solo un discepolo, ma si lascia ispirare dallo Spirito di Dio». Mons. Delpini elenca gli incarichi ricoperti dal defunto in vita, ma «forse può bastare dire: è stato un discepolo. Durante la sua vita, la sua specialità non era cantare, ma ora credo che tutta la sua vita si presenti al Signore con l’esultanza e il cantico del credente: felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni nella mia vita, la vita senza giorni e senza notti, la vita di Dio».
Pochi minuti dopo il funerale, piazza Duomo si riempie di ragazzini per il tradizionale concerto di Natale delle scuole paritarie ispirate al carisma di Comunione e Liberazione. L’arcivescovo prende la parola per dare un compito: «la pace si deve chiedere e costruire. Bambini, vi do l’incarico di far crescere l’ulivo che è simbolo della pace». E come cresce questo ulivo, che è la pianta con il quale la colomba ha annunciato a Noè la fine del diluvio? «Una pianta, per restare viva, ha bisogno della luce, del sole e di essere difesa dai parassiti che sono la cattiveria, la pigrizia, l’indifferenza, le parole aggressive. E poi ci vuole la pazienza, perché occorre dedicare tempo all’ulivo e, quindi, alla pace. Durante tutto il prossimo anno, guardate se l’ulivo cresce e pregate per la pace», invita mons. Delpini. «Penso che la pace sia un albero che cresce lentamente, quindi bisogna iniziare da piccoli a desiderare la pace, sapendo che non cresce da sola e niente è automatica. La vigilanza sulle minacce alla pace inizia con la costruzione di uomini e donne» disposti a costruire, mettendoci del proprio, un mondo pacificato.
Lunedì, 26 dicembre 2022