L’arcivescovo sprona i suoi diocesani, specialmente quelli impegnati in politica, a convergere sui valori non negoziabili
di Michele Brambilla
Nella consueta intervista di fine anno pastorale mons. Mario Delpini ha ribadito che «la politica è, in sostanza, dare concretezza legislativa, normativa e istituzionale a quello che si interpreta come il bene comune. A me sembra che temi così determinanti per la vita di una persona e di una società, come la vita e la morte, la famiglia, il lavoro, abbiano una dimensione etica sulla quale è facile immaginare un consenso» più largo di quello che si immagini. Ripete che «non esiste più il partito unico dei cattolici, quindi la dispersione è un dato di fatto storico, ma forse dovremmo chiederci cosa ci unisce. Se dobbiamo ragionare del fine vita, dell’immigrazione, della giustizia, dei giovani, dei temi di sensibile impatto etico, possiamo essere divisi?».
Da tempo il clero ha adottato come strategia quella di non parlare al proprio gregge di temi etici per evitare “spaccature” nelle parrocchie, frizioni che in realtà esistono già e derivano dall’aver assimilato la mentalità mondana. Tra i politici cattolici le cose non sono differenti, anzi: il mimetismo è divenuto persino più accentuato. Ecco allora l’arcivescovo rammentare che «noi cristiani dobbiamo caratterizzarci per essere persone serie, che affrontano in modo serio argomenti seri, dove “serio” vuole dire che il pensiero di ciascuno non si riduce a una disciplina di partito per custodire una maggioranza o per contrastarla». La frecciata appare particolarmente tagliente nei confronti dei cattolici “democratici”, ormai praticamente indistinguibili dagli esponenti laicisti.
Il 27 luglio si ricordano, con una Messa presieduta da mons. Delpini presso la caserma dei pompieri di via Benedetto Marcello, i trent’anni dalla strage di via Palestro (notte del 27 luglio 1993) ordita dalla mafia. Vengono scoperte alcune targhe commemorative, con i nomi di coloro che persero la vita nell’adempimento dei loro dovere. L’omelia dell’arcivescovo è ancora una volta un’esortazione ad uscire allo scoperto, da veri figli di Dio. «Gli amici del bene vivono e tengono vivo il mondo» agendo come «custodi della città che fanno il loro dovere con serietà, con professionalità, nei giorni in cui è facile e nei giorni in cui è difficile».
Il male non è sempre così plateale come una strage di mafia. I malvagi, che amano le tenebre, «forse non mettono bombe e non fanno stragi, ma fanno affari con la guerra, si presentano come gente per bene, ma distruggono famiglie e imprese, rovinano i giovani», e in questo ritratto non è difficile vedere altre categorie, oltre ai mafiosi, che amano scambiare il bene con il male e, in questo modo, impoveriscono l’intera società. Smentendo ancora una volta l’opinione che lo ritiene un arcivescovo poco “apocalittico” nel suo linguaggio, mons. Delpini ammonisce gli iniqui che per loro, se non si convertono, «rimane la condanna eterna». La citazione è tratta dall’omelia che fu pronunciata in Duomo durante i funerali delle vittime dell’attentato, ma riecheggia anche, inevitabilmente, il celebre appello di san Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi. In ogni caso, si ricorda in maniera estremamente nitida l’esistenza dell’inferno, in cui si scontano anche i peccati sociali.
Per raggiungere il Paradiso, incolonnarsi dietro ai giovani che partono per la GMG di Lisbona, oppure alle famiglie ambrosiane che danno loro manforte riprendendo, con la benedizione di mons. Delpini, il pellegrinaggio del Perdono di Assisi.
Lunedì, 31 luglio 2023