Il nostro tempo come opportunità
di Michele Brambilla
Mons. Mario Delpini scrive nuovamente alla sua Milano. Sette lettere per Milano è un titolo che trae volutamente spunto dall’Apocalisse e descrive con molta concretezza la situazione spesso claudicante delle parrocchie cittadine. Facendo il bilancio della sua visita pastorale alla città di Milano, l’arcivescovo ricorda che in una sola «ho visto molte città, volti, situazioni, storie, feste, gemiti. Ho incontrato ogni comunità pastorale. Ho pregato in ogni chiesa parrocchiale. Ho benedetto nel nome del Signore ogni assemblea convocata» e ciò che lo preoccupa di più è che, in molti casi, quel che «non ho trovato è la pienezza della gioia, l’evidenza della speranza, lo zelo semplice e tenace per annunciare il Vangelo con la parola e la testimonianza a servizio dell’attrattiva di Gesù verso tutti, giovani e anziani, milanesi di antica appartenenza e gente di altri Paesi». Eppure la direzione giusta è proprio quella, ovvero «nel nome del Signore le porte rimangono aperte e lo Spirito suscita pensieri nuovi e tentativi forse ancora timidi perché il tuo volto sia quello» di una Chiesa missionaria, che semina senza l’ansia “da prestazione”.
Quali modelli adottare? L’arcivescovo il 7 novembre tiene una prolusione nell’Aula Magna dell’Università Cattolica di Milano, dove Comunione e Liberazione celebra la trasformazione in podcast delle lezioni sul senso religioso che il Servo di Dio mons. Luigi Giussani (1922-2005) tenne nel medesimo ateneo dal 1978 al 1985. Dal palco mons. Delpini ammette che, forse, don Giussani non è ancora stato compreso del tutto e, in alcuni casi, il suo pensiero sembra entrare in contrasto con la cultura anche ecclesiale contemporanea. Il cattolico di oggi tende a non percepirsi come una “unità”, ma «l’incontro con don Giussani è “incontro che risveglia la persona” attraverso “il desiderio che nasce da una promessa, l’inquietudine e lo stupore”», divenendo «un carisma che libera la libertà, autorizza a diventare quello per cui siamo fatti. Incontro che libera dalla dipendenza e chiama all’autonomia la persona». I cattolici devono tornare ad essere come don Giussani, perfettamente costituiti in Cristo e proprio per questo in grado di valorizzare le migliori energie dell’essere umano, a partire da una posizione forte e chiara, dato che «non c’è nessuno che viene al mondo senza un desiderio» grande, spesso oggi immiserito dall’edonismo.
Per non rimanere prigionieri della superficialità o vivere solo di applausi esteriori, mons. Delpini suggerisce un «percorso agostiniano»: come sant’Agostino d’Ippona, rientrare in se stessi per aprirsi alla voce dello Spirito, per poi proclamare tutta intera la dottrina cattolica in mezzo agli uomini del nostro tempo.
Il 9 novembre l’arcivescovo presiede nell’ateneo anche un convegno sugli 800 anni della bolla papale che approvò la Regola francescana. Anche san Francesco è per lui un maestro «dal quale ogni generazione deve imparare»: Milano deve molto alla carità dell’ordine francescano. Tuttavia, c’è il rischio «che talvolta, riduttivamente, si tende ad identificare i frati come una semplice presenza di assistenza, mentre la cosa più importante che dovremmo imparare è lo spirito di povertà, preghiera e fraternità». Parlando del conflitto in corso in Terra Santa, mons. Delpini ricorda che «la pace viene dal Signore, e quindi “il Signore ti dia pace” è il suo (di san Francesco ndr) saluto. Un’umanità che si esclude dalla trascendenza credo che non abbia delle ragioni sufficientemente radicate per riconoscere la fraternità» tra tutti gli uomini.
Lunedì, 13 novembre 2023