Mons. Delpini utilizza un metodo a lui molto congeniale per mostrare l’attualità del pensiero di un grande filosofo del VI secolo che ha preparato la prima Cristianità
di Michele Brambilla
L’11 novembre mons. Mario Delpini è stato insignito (assieme a Corrado Sforza Fogliani, amico fraterno del “nostro” Giovanni Cantoni: in questo caso si tratta di una medaglia alla memoria) del Premio Internazionale Cassiodoro il Grande, che intende portare avanti il pensiero di Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore (485-580), vissuto nel momento in cui l’Impero romano veniva travolto dai Goti e dai Longobardi. Egli, fondatore di una piccola comunità monastica dopo il ritiro dalla scena politica, sintetizzò il meglio dei filosofi antichi e lo fece interagire con la teologia cristiana, contribuendo a preparare la futura Cristianità occidentale.
Se queste sono le premesse, perché premiare proprio mons. Delpini? Don Roberto Ponti, a capo di Telenova, legge le motivazioni: «teologo, patrologo, uomo di lettere, non lesina mai le sue forze per far giungere il Vangelo dove ce n’è bisogno e così dare una testimonianza viva a chi si forma per essere pastore o a chi già esercita questo ruolo nella comunità cristiana. Monsignor Delpini arriva sempre, a tutti e ovunque. Un po’ come Cassiodoro, che conosceva i territori che amministrava non per sentito dire, ma perché ci era stato».
L’arcivescovo ringrazia con il suo stile narrativo. Prendendo spunto dall’espediente di Alessandro Manzoni (1785-1873), che all’inizio dei Promessi sposi finse di aver rinvenuto la storia che si apprestava a narrare da un ipotetico manoscritto seicentesco, mons. Delpini dice di aver ritrovato una lettera di Cassiodoro ad un vescovo di Milano dal nome Minimo Mario Frontone, ovviamente pseudonimo dello stesso mons. Delpini, che pur considerandosi “minimo” rispetto ai predecessori dal 2017 è alle luci della ribalta (il frontone in architettura). «Mi unisco alla tua desolazione, fratello venerato, nel deprecare le condizioni miserevoli della Chiesa e le vicende drammatiche che tu stai vivendo, vescovo di Milano e lontano da Milano, per sfuggire alla minaccia di invasori senza religione e senza pietà, in esilio in una città ospitale, inquieto per l’incerto futuro», scrive, e il riferimento è all’esilio dei vescovi ambrosiani a Genova sotto i Longobardi, ma a ben vedere, in filigrana, è la descrizione della condizione di “esilio” dei cattolici contemporanei nella città dei “nuovi barbari” post-moderni.
Minimo chiede consiglio a Cassiodoro, che risponde: «non io, ma il Signore potrà guidarti in questo tempo di tribolazione e in primo luogo la parola delle Scritture e, in particolare, i Salmi ispirino la tua preghiera. La sapienza del tuo venerato predecessore Ambrogio e dei santi Padri, tra cui venero come primo maestro Agostino, potranno guidare la tua preghiera e consolare il tuo animo. E una forma liturgica veneranda e particolare potrà guidare il tuo celebrare secondo la tradizione della tua Chiesa».
Insomma, il seme c’è, è ancora vitale e va custodito perché, passata la tempesta, porti ancora frutto. «Forse, se Dio ti farà grazia di tornare a Milano dopo questo triste esilio, potrai fondare una biblioteca non nella tranquillità di un monastero, ma nel cuore di una città», chiara allusione alla Biblioteca Ambrosiana. Si coglie, così, un nuovo monito per le parrocchie: i deliri contemporanei non si combattono solo con l’animazione, ma soprattutto accettando con coraggio la sfida sul terreno culturale. Cassiodoro ci scrive perché prendiamo esempio nell’edificare la nuova Cristianità.
Lunedì, 20 novembre 2023