Il processo di beatificazione di fratel Ettore Boschini chiude la sua fase diocesana e approda a Roma. In un momento in cui si riaccende la guerra ideologica sui corpi, ci ricorda che l’identità corporale è imprescindibile
di Michele Brambilla
Il 25 novembre si chiude la fase diocesana del processo di beatificazione di fratel Ettore Boschini (1928-2004), aperta nel 2017. Il delegato arcivescovile per le cause dei santi, mons. Ennio Apeciti, non nasconde la sua soddisfazione per la rapidità con la quale il processo canonico sta marciando. «In effetti si può dire che, in questo caso, la causa sia stata breve nella fase ambrosiana, considerando che, fortunatamente, abbiamo ritrovato il suo diario e quindi abbiamo potuto trascriverlo e valutarlo», fortuna che non accade sempre per tutti i personaggi storici.
Ad ogni modo, le attestazioni di stima e venerazione già in vita per fratel Ettore non si contano, come ricorda la principale collaboratrice (nella foto ritratta assieme allo stesso fra Boschini e san Giovanni Paolo II) suor Teresa Martino, oggi a capo di Casa Betania, a Seveso la più grande delle opere caritative messe in piedi dall’instancabile frate camilliano, che si basava sempre su «l’accoglienza e la Provvidenza» divina, affidandosi al Cuore immacolato di Maria, centrale nella sua predicazione. «Fratel Ettore concepiva la Provvidenza in modo simile a una maternità»: non a caso si è speso molto anche contro il referendum sull’aborto del 1981, accanto ai militanti milanesi di Alleanza Cattolica.
La mattina del 25 novembre mons. Mario Delpini si reca a Casa Betania per il rito che stabilisce il passaggio della causa al dicastero romano delle cause dei santi. Nell’omelia l’arcivescovo osserva che, tante volte, ascoltando il Vangelo non gli si presta troppa attenzione: “lo so già”. Invece, «il Vangelo si può leggere meditandolo, ovvero dedicando del tempo a cosa ha detto Gesù, in che contesto ha raccontato questa parabola, quale idea dei rapporti umani Gesù vuole proporre». C’è chi si lascia “trafiggere” dalla Parola di Dio, aggiungendoci anche il trasporto emotivo, «ma si può leggere anche come la storia di un uomo, cioè di una persona concreta che, in un determinato momento della storia, scrive la sua storia come pagina di Vangelo»: è l’esegesi incarnata dai santi, come si appresta a diventare fratel Ettore.
Per la Chiesa il corpo, oggetto anche in questi giorni di discussioni “frammentanti” come reazione ideologica ai casi di “femminicidio”, mantiene la sua importanza. «Quel che è caratteristico di fratel Ettore non è che fosse un po’ speciale, ma che ha reso speciali quelli che lo hanno incontrato. Essendo così unico, ha reso possibile imitarlo», rimarca mons. Delpini, e questo è avvenuto proprio perché si trattava di un modello incarnato. Felicemente maschile, si può aggiungere.
Parole molto importanti sul corpo sono state spese anche poche ore prima (24 novembre), nella visita di mons. Delpini alla sede milanese del CONI. «La dimensione corporea della persona conosce in questo nostro tempo alcuni aspetti problematici. Talora è intesa come un vincolo mortificante, una prigione, un motivo di disagio, una fonte di imbarazzo. Ne deriva l’insofferenza che induce a “cambiare corpo”, a fare del male al sé stessi, a rovinarlo con disturbi alimentari, a vivere complessati per il proprio corpo come immagine di cui vergognarsi. Questo è un pericolo», ha denunciato, ribadendo che «nell’umanesimo biblico e cristiano la dimensione corporea è una dimensione essenziale della persona e della sua vita spirituale».
Lunedì, 27 novembre 2023