Il pericolo di una giustizia ideologica, in un mondo senza misericordia, nelle parole di mons. Delpini al Palazzo di Giustizia di Milano
di Michele Brambilla
Il 12 dicembre, accompagnato da mons. Carlo Azzimonti e don Michele Porcelluzzi, entrambi canonisti della Curia di Milano, mons. Mario Delpini partecipa ad un convegno dell’Unione Giuristi Cattolici nel Palazzo di Giustizia della città. E il suo discorso è una perorazione a favore di un’autentica riforma della giustizia, ritenuta sempre più necessaria.
Una riforma della procedura penale è certamente auspicabile anzitutto per una questione di equità: l’arcivescovo denuncia nel suo discorso che «ci sono coloro per i quali il prolungarsi dei procedimenti è un vantaggio perché sono in posizione di forza e forse contano su norme che prescrivono alcuni reati», mentre coloro che non sono “raccomandati”, da affiancare a coloro che non hanno i mezzi materiali per sostenere economicamente una causa, stentano a superare le maglie di processi “tentacolari”.
Giunge allora opportuna la parafrasi evangelica proposta da mons. Delpini sulla base di un celebre brano scritturistico: «quando Gesù si avvicinò al Palazzo di Giustizia, uno dei suoi discepoli gli disse: “Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!” e Gesù rispose: “Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta”». Come è noto, sono parole che Cristo pronuncia annunciando il terribile destino del Tempio di Gerusalemme. Il paragone tribunale-Tempio porta con sé sia un salutare ammonimento nei confronti dei magistrati terreni (ogni atto della giustizia umana si deve rapportare con i parametri del Giudice supremo nei Cieli), sia la condanna di tutti i tentativi di “divinizzare” il ruolo delle procure, molto in voga in questi decenni. «Il rischio che l’ideologia insidi le sentenze è continuamente presente in tanti Stati del mondo e vorremmo che fosse per sempre escluso», chiede l’arcivescovo con precisione millimetrica.
Per quanto concerne la questione delle pene, «nella visione cristiana, la libertà è un bene irrinunciabile e si tratta di orientare al bene invece che al male». Mons. Delpini non esita ad additare cosa accadde al Giudice di tutti noi quando si ritrovò Egli stesso imputato: «Gesù ha avuto una esperienza drammatica dei tribunali: del sinedrio e del pretorio. L’innocente è stato condannato, il giusto è stato ingiustamente messo a morte e anche il suo rapporto con il potere è problematico, in cui egli è stato vittima più che giudice», ma «il Verbo si è fatto carne per farsi carico di tutti gli aspetti della vita umana e per salvare tutti gli uomini e le donne e l’intero dell’essere umano, perciò Gesù si chiama anche giudice, come un invito a procedere nel giudizio con l’idea del bene comune e della persona che è promettente come ispirazione a una giustizia che non sia meccanica applicazione di una lettera che uccide, ma interpretazione di uno spirito della legge diverso».
Gesù è anche il nostro Avvocato presso il Padre, «con il suo servizio di intercessione a cui si possono ispirare gli avvocati per dire che si può guardare con uno sguardo di rispetto a coloro che sono colpevoli che possono essere guariti».
Lunedì, 18 dicembre 2023