La Chiesa, popolo unito e multiforme, ma conscio della sua “diversità” di fronte al mondo
di Michele Brambilla
Nell’omelia per la Messa solenne dell’Epifania (6 gennaio) mons. Mario Delpini spiega in cosa consista un sano pluralismo nella Chiesa e nella stessa società civile. Di primo acchito, infatti, si chiede se «basta il clamore e la ripetizione per far sapere dove sono le novità», come accade spessissimo in un mondo in cui, citando un antico proverbio dialettale, si potrebbe dire che “chi urla di più, la vacca è sua”. Agli slogan urlati si aggiungono le immani tragedie che vediamo ogni giorno, specie nei teatri di guerra.
Ma «noi non siamo abbattuti come coloro che non hanno speranza. Noi professiamo oggi la nostra certezza: Dio continua a compiere la sua opera», ripete l’arcivescovo rileggendo la pagina liturgica di Isaia, che invita ad alzare gli occhi sulle meraviglie del Signore. «Ecco che cosa dobbiamo vedere», specie in un mondo che insiste ad abbassare lo sguardo davanti alla luce di Gesù, «che ha dato se stesso per noi, per riscattarci dall’iniquità e formare per se stesso un popolo puro che gli appartenga. Ecco, io vedo formarsi il popolo puro, il popolo santo di Dio», insiste, parafrasando in questo caso l’epistola paolina.
Sta parlando chiaramente della Chiesa, riguardo alla quale osserva che questo popolo non è stato radunato «come un esercito che, per essere unito, deve essere disciplinato e impone che tutti rinuncino alla propria originalità». Nella Chiesa l’unità non è a discapito dei carismi, ma li tutela, preferendo «la difficoltà di intendersi nella pluralità delle lingue», dove questa è da intendersi anche nel senso metaforico della pluralità dei riti e delle associazioni, «all’uniformità dell’omologazione perché tutti dicano nello stesso modo la stessa cosa», come troppi desiderano tra coloro che sostengono la cultura dominante.
«Ecco io vedo il popolo puro, che vive in questo mondo con sobrietà, giustizia e pietà. È gente che vive nel santo timor di Dio, che distingue il bene dal male, che non si lascia convincere che l’ingiustizia, l’imbroglio, la furbizia siano convenienti e che l’avidità sia una virtù, e che la ricchezza, l’apparenza e il prestigio mondano siano valori per i quali vale la pena di sacrificare la coscienza, il pensiero e gli affetti», rimprovera con forza mons. Delpini. «Il popolo puro vive nella sobrietà, rifugge dall’ambizione, cerca di vivere con dignità anche se non può permettersi tutto quello che sembra obbligatorio per essere ammirati dagli altri ed essere utili come consumatori insaziabili», prosegue.
«Ecco, io vedo il popolo puro, che vive con lealtà il suo rapporto con le istituzioni» civili, continua ancora mons. Delpini. «Il popolo puro è composto da buoni cittadini, gente seria, che ha a cuore il bene comune. Non riesce ad avere stima per tutti i politici», ma «non trova nella mediocrità o nell’inaffidabilità delle persone un motivo per screditare l’istituzione» in se stessa. Anche di fronte agli errori palesi, il popolo cattolico «preferisce incoraggiare al bene, essere esemplare nella coerenza piuttosto che incrementare il risentimento e aggredire con asprezza».
Meglio essere sempre pronti per un’opera buona, contribuendo ad edificare un popolo che «abita il presente, ma non teme il futuro, che si impegna con tutte le sue possibilità e inadeguatezze per rendere abitabile la terra», consci, però, che la nostra vita non si ferma quaggiù.
Lunedì, 8 gennaio 2024