Le comunità ebraiche italiane chiedono una Giornata della Memoria che non si perda nella retorica e condanni risolutamente l’antisemitismo montante in Occidente. L’incontro del 15 gennaio al Binario 21 con l’arcivescovo conferma l’impegno della Chiesa nel dialogo interreligioso e nella difesa della dignità umana
di Michele Brambilla
Il 15 gennaio si incontrano mons. Mario Delpini, il rabbino capo di Milano Alfonso Arbib e i responsabili del museo-memoriale del Binario 21. Si avvicina la Giornata della Memoria e, dopo gli slogan violenti urlati nei cortei filo-palestinesi (anche per le strade di Milano) e il moltiplicarsi di gesti antigiudaici, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane emette un comunicato molto duro, in cui previene tutti dal fare accostamenti impropri tra la Shoah e la guerra in Medio Oriente.
L’atmosfera, al Binario 21, si fa subito rovente. Arbib denuncia senza mezzi termini che «stiamo vivendo un momento assolutamente difficile, abbiamo assistito a un pogrom all’interno di Israele, al più grande massacro dopo la Shoah, a torture e alla gioia di procurare sofferenze e questo mi ha particolarmente sconvolto. La reazione quale è stata? All’esterno delle comunità ebraiche assistiamo a un esplosione di antisemitismo, tanto che per il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, sono triplicati gli episodi di antisemitismo. Ma ciò che più preoccupa e colpisce è che a essere antisemiti sono soprattutto i giovani», ingannati da una vile propaganda “terzomondista” e islamista.
L’arcivescovo nel suo discorso concorda con le denuncie del rabbino capo. Anche per mons. Delpini «viene il tempo delle parole indicibili, le parole che non sanno comunicare, suoni che servono per aggredire, gemiti che non sanno raccontare, grida inascoltabili che risuonano là dove l’uomo infligge all’uomo sofferenze inenarrabili». L’arcivescovo condanna ogni retorica discriminante e bellicista.
Prendendo, però, spunto dal brano della Genesi in cui si narra della scala sognata da Giacobbe, prova a ricordare anche che «la notte improbabile diventa il tempo di Dio, il luogo inospitale si rivela casa Dio. Mentre gli uomini attraversano il paese delle parole indicibili, il Signore ha qualche cosa da dire, gli angeli di Dio hanno un messaggio da portare», ovvero «essere benedizione: “E si diranno benedette, in te e nella tua discendenza, tutte le famiglie della terra. Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questa terra, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che ti ho detto” (Gen 28,14.15)».
Giacobbe, che si vede mutare da Dio il proprio nome in Israele, rimane lo sguardo benedicente del Signore su tutte le genti. «La promessa che benedice Giacobbe non è un privilegio, ma una missione. Ecco: essere benedizione per tutte le famiglie della terra»: forse ce ne siamo dimenticati, ma è questo il cuore dell’antica Alleanza, la vocazione del popolo ebraico.
«Ogni parola, in questo tempo, può essere un’arma che ferisce, un suono che disturba, una provocazione che esaspera. Dunque il silenzio. Dunque la preghiera. Dunque l’attesa che da qualche parte si riconosca la scala che consente a Dio di visitare la terra e di farsi riconoscere da tutti i suoi figli, da tutte le famiglie della terra», come avviene nel brano biblico.
Gli Ebrei, in questi mesi, si sono sentiti soli. Diventa allora compito specifico dei cattolici continuare a difendere attivamente la dignità di ciascun essere umano.
Lunedì, 22 gennaio 2024