In un tempo in cui l’amore è un sentimento passeggero e non vuole, spesso, mettere radici, mons. Delpini consegna ai fidanzati il seme di una pianta, segno di costanza e tenacia
di Michele Brambilla
Molti considerano molto opportuna la coincidenza, quest’anno, del romano Mercoledì delle Ceneri con la festa commerciale di S. Valentino (14 febbraio), perché «invita al silenzio e all’essenziale, due elementi che spesso mancano nella vita di coppia, anche a tavola, dove il pasto diventa un gesto sempre più individuale e meno sociale», scrive per esempio Paolo Massobrio su Avvenire del 13 febbraio. La Chiesa si trova ad affrontare, anche nei corsi fidanzati che si tengono delle parrocchie, una concezione molto volatile e superficiale dell’amore, che traspare da tutti i media e uniforma ulteriormente verso il “basso” i comportamenti sociali, specialmente tra i giovani.
Ad ogni modo, non sono così pochi i giovani che si impegnano ancora a costruire una famiglia come Sacramento comanda, soprattutto in aree dell’Italia, come la Lombardia, dove agenzie educative come l’oratorio, i movimenti e le scuole cattoliche hanno ancora un influsso notevole. Da tempo mons. Mario Delpini organizza per costoro alcune veglie di preghiera la vigilia di S. Valentino.
Così è anche questo 13 febbraio nella basilica di S. Vittore a Varese. Nella sua omelia, mons. Delpini parte dal fatto che l’innamoramento è una cosa senza dubbio molto bella. «L’augurio che mi sento di farvi è che l’innamoramento continui: naturalmente ci saranno, mi immagino, delle fasi più fredde, più faticose, ma ci saranno giorni di passione, di desiderio ardente», dice infatti l’arcivescovo. «Forse non è proprio necessario perdere tutto quello che di incanto, di passione, di desiderio, l’innamoramento conosce. Ma è certo che l’amore chiede percorsi di maturazione, in cui non si dimentica la poesia, il batticuore, ma qualcosa di più solido, di più roccioso, di più affidabile, della tempesta delle emozioni», in un mondo in cui ci si vuole, molto spesso, soffermare solo su questo stadio dell’innamoramento.
«Ciascuno di voi avrà la sua storia», e anche questo è prezioso quando tanti cercano di uniformarsi a modelli mediatici concretamente irraggiungibili e persino fuorvianti. In un tempo di forte omologazione, la Chiesa è quasi l’unica a ricordare che ogni uomo e ogni famiglia custodiscono una propria identità. Ci sono, però, alcuni consigli validi per tutti.
Il primo è constatare che nessuno è perfetto: l’amore idealizza, ma la “caduta del mito” del coniuge non deve spingere a rompere anche il rapporto di coppia, come troppo spesso accade alla prima difficoltà. Si può parlare di vero amore quando «so che non sei perfetto, lo so che questo è il difetto tuo che mi fa arrabbiare di più, però mi sento in grado di accoglierlo per tutta la vita e viceversa».
Come si fa, poi, a non perdere la freschezza degli inizi con il trascorrere degli anni? Anzitutto ricordandosi che il tempo ha un senso. I tempi liturgici ritmano il tempo cronologico e ne svelano il significato, ma ci sono anche «il giorno dell’anniversario, un giorno per rinnovare il proprio impegno; un giorno per dedicarsi alla preghiera, magari con altre coppie; un tempo per dirsi di che cosa dobbiamo perdonarci. Il tempo può diventare amico dell’amore se un ritmo permette il recupero, la ripartenza, il ringiovanimento», non in senso “giovanilistico”, ma proprio come costante memoria liturgica dei principi e fondamenti. Non a caso mons. Delpini dona ai fidanzati un seme: una pianta richiede la costanza della cura e tenacia per vedere il frutto. Così è l’amore umano.
Lunedì, 19 febbraio 2024